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Interventi

Finanziamenti navali

Leasing finanziario alla cantonese

di Michele Autuori

Avvocato dello studio legale Associato Watson Farley & Williams

Lo shipping è un settore cosiddetto “capital intensive” che ha sempre avuto bisogno di ricorrere al credito bancario per finanziare le proprie attività, passando dai classici mutui ipotecari alle emissioni obbligazionarie.

La crisi dei noli prima e i requisiti imposti in materia di emissioni poi hanno messo alle corde numerose compagnie di navigazione. Questo ha determinato un incremento esponenziale delle ristrutturazioni del debito – a volte culminate in veri e propri fallimenti (basti pensare ai casi italiani di Deiulemar e di RBD nonché a quelli stranieri di Hanjin e OW Bunker) – e un massiccio allontanamento delle banche dal settore navale, anche a causa dei nuovi requisiti di patrimonializzazione introdotti con Basilea 3.

Secondo i dati dell’ultimo report di Petrofin Bank Research, le prime 40 banche al mondo attive nello shipping controllano oggi un’esposizione di poco superiore ai 300 miliardi di dollari, circa 44 miliardi in meno rispetto al 2017.

Si pensi al caso di HSH Nordbank: l’istituto di credito un tempo era la prima banca nel settore dei finanziamenti navali mentre oggi si colloca in ventiseiesima posizione tra le quaranta maggiori banche del mondo in termini di esposizione verso il settore dello shipping, con soli 5 miliardi di dollari. L’esposizione nel settore della stessa UniCredit, unica banca italiana presente nella classifica di Petrofin, è scesa da 10 a 4 miliardi di dollari.

Attualmente gli istituti di credito più attivi sul mercato nazionale risultano essere BPER Banca, Banco BPM, Intesa Sanpaolo e Iccrea Bancaimpresa oltre ovviamente alle francesi francesi BNP Paribas e Crédit Agricole CIB che, pur avendo ridotto la propria esposizione creditoria, risultano comunque molto presenti nel settore dello shipping occupando rispettivamente la terza e settima posizione mondiale.

Il report di Petrofin evidenzia comunque un pronunciato declino della percentuale totale dei finanziamenti navali concessi da banche europee (dall’83% al 59,6%) e un incremento considerevole della percentuale in mano agli istituti del Far East (dal 14,8% al 35%).

Nello studio viene inoltre certificata una chiara asimmetria tra la riduzione dei finanziamenti navali (-25%) e la crescita della flotta mondiale (+28%), che viene supportata da forme alternative di finanziamento: in questo campo risultano molto presenti le società di leasing cinesi, giapponesi e coreane, che hanno raggiunto una esposizione pari a 47 miliardi di dollari.

Anche nel mercato italiano si è assistito ad alcune operazioni di leasing mentre i finanziamenti bancari sono stati principalmente erogati in favore di compagnie di navigazione molto solide ed affidabili, operanti in settori dello shipping meno toccati dalla crisi dei noli, quali quello del rimorchio portuale, del trasporto di prodotti chimici e di carichi rotabili.

Un discorso a parte va invece fatto per il settore delle crociere che non conosce crisi e che in Italia riveste una fondamentale importanza per la presenza di Fincantieri, leader mondiale nella costruzione di navi da crociera. La prima semestrale 2019 di quest’ultima certifica un carico di lavoro complessivo pari a più di 33 miliardi di euro (circa sei volte i ricavi del 2018), con 98 unità in consegna fino al 2027.

Tornando al report di Petrofin, lo studio prevede una continua crescita del leasing e un limitato numero di quotazioni ed emissioni obbligazionarie nel mercato statunitense, con il mercato norvegese a rappresentare una valida e affidabile alternativa. Quanto ai finanziamenti bancari, si evidenzia come la stabilità dell’economia mondiale e il sostanziale stock di debito pubblico di alcune nazioni (tra cui non possiamo non citare l’Italia) avranno un impatto sulla capacità delle banche di poter finanziare in misura rilevante il settore dello shipping.

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