Sebbene vi siano nella Storia circostanze sociali tipiche di cui si possa osservare il regolare ripetersi, anche queste regolarità non hanno la caratteristica immobilità delle leggi della fisica newtoniana ma sono esse stesse soggette a variazioni. E l’epoca moderna, post-globale, è caratterizzata da una variabilità strutturale che porta ad una totale imprevedibilità.
Zeno D’Agostino, storicista ante-litteram nell’oscurantismo psicotico di un periodo contrassegnato dalla paura per il contagio, ne è certo: «L’Europa e il mondo stanno affrontando sfide senza precedenti. Situazioni imprevedibili come il Covid-19 saranno vieppiù all’ordine del giorno. Dobbiamo esserne consapevoli. Andiamo incontro a un periodo di instabilità dove il ruolo della pubblica amministrazione sarà sempre più importante, anche e soprattutto in Italia».
Il nostro Paese è stato uno dei primi ad essersi interfacciato con l’emergenza: «Il 18 febbraio ero a Bruxelles, in una riunione dell’Europan Sea Ports Organisation (ESPO), e quando ho cominciato a parlare del Covid-19 e delle contromisure che il porto di Trieste stava approntando per far fronte all’emergenza, mi hanno tutti guardato con occhi stralunati, quasi che stessi parlando di un Ircocervo».
Un Ircocervo che solo fino a poche settimane fa veniva considerato dai porti europei tutt’al più come una suggestione orrorifica, come qualcosa da inserire in un possibile bestiario post-apocalittico, ma che ora ha assunto la concreta fisicità del reale. Oltre a mettere in pericolo la salute di migliaia di cittadini, il Coronavirus ha messo in luce, specie nel nostro Paese, la debolezza di un sistema logistico il cui modello di sviluppo è basato spesso sulla logica esclusiva del profitto: «Da una parte ci sono i porti, che hanno dimostrato di riuscire a governare le ricadute di questa emergenza, mantenendosi pienamente operativi. Dall’altra c’è tutto un mondo, quello della supply chain e degli interporti, che è apparso in affanno e per il quale il Covid-19 rimane una sfida ancora oggi così chiara di incognite da spingere il presidente di Confetra a un appello alla responsabilità dai toni quasi accorati».
Il giudizio del vice presidente di Espo riflette tutta la sua preoccupazione: «Mi dispiace dirlo: il lavoro nella logistica italiana sconta un gap qualitativo rispetto a quello di chi lavora in porto. I nostri lavoratori portuali godono di condizioni economiche e formative nettamente migliori rispetto a chi opera nella supply chain “terrestre”».
Si tratta di un divario che «in situazioni critiche come questa si evidenzia in tutta la sua drammaticità: i facchini non vanno a lavorare perché hanno paura, i nostri portuali, seppur preoccupati, al lavoro ci vanno».
La verità è che il mondo della logistica si è piegato alle regole del libero mercato ed è quindi sovraesposto, più di altri settori, alle sue fluttuazioni; nei porti ci sono invece elementi di governance pubblica che ne correggono le storture. Per questo motivo «occorre oggi investire nel pubblico, in tutti gli ambiti, sostenendone la capacità di governance».
È l’esatto contrario di quanto sta facendo l’Unione Europea, di cui il presidente dell’Autorità di Sistema di Trieste stigmatizza l’atteggiamento “tafazzista”: «In un’epoca come la nostra servono società di Stato ed enti pubblici forti, preparati cioè ad affrontare situazioni come quella che stiamo vivendo. Bruxelles si sta muovendo nella direzione opposta, operando con l’intento di demolire i nostri campioni nazionali. L’atteggiamento che l’UE ha avuto nei confronti di Fincantieri e dell’acquisizione di STX lo dimostra chiaramente».
Fuori dall’Europa ci sono invece imprese di Stato straniere dotate di capacità imprenditoriali e di disponibilità economiche infinite: «Mentre l’UE bacchetta le Autorità di Sistema Portuali, chiamandole a verificare se si debba applicare l’Iva alle loro attività “economiche”, diverse società pubbliche – di diretta emanazione di Stati extra-europei – si stanno muovendo con disinvoltura all’interno dei confini comunitari, comprandosi terminal, porti e infrastrutture strategiche. Queste società di Stato hanno da noi la stessa libertà di azione che avrebbe un privato. Si tratta di un paradosso».
D’Agostino critica il ragionamento iper-liberista europeo, che appare oggi anacronistico: «Non siamo più ai tempi di Bretton Woods. Bisogna che Bruxelles lo comprenda. I soggetti economici di carattere pubblico non devono essere condannati ogniqualvolta provino – virtuosamente – a intervenire nel libero mercato per correggerne le devianze. La mano invisibile di Adam Smith esiste solo se c’è una sana concorrenza, e per garantire una sana concorrenza serve un’amministrazione pubblica competente e preparata. D’altronde era proprio questa la tesi che il filosofo ed economista scozzese sosteneva nella sua Inquiry into the Nature and Causes of the Wealth of Nations».
Gli «azzeccagarbugli di Bruxelles» sono avvertiti: «L’epoca che stiamo vivendo, caratterizzata da un alto tasso di imprevedibilità, ha bisogno di campioni pubblici e ha bisogno di burocrati illuminati che lo capiscano».