Negli ultimi mesi, anche a seguito di uno sciopero nazionale proclamato dalle organizzazioni sindacali confederali, è tornata di attualità la questione dell’autoproduzione da parte degli equipaggi delle navi. Con tale termine ci si riferisce comunemente alla possibilità che, in base alla normativa vigente, a seguito di specifiche autorizzazioni da parte dell’Autorità di Sistema Portuale o dell’Autorità marittima, la nave possa svolgere autonomamente le operazioni e i servizi portuali come definiti dal primo comma dell’articolo 16 della Legge 84 del 1994.
Si tratta di una molteplicità di attività che si svolgono in ambito portuale che interessano principalmente il carico, lo scarico, il trasporto, il deposito, il movimento in genere delle merci e tutte le attività accessorie a tali operazioni.
Tuttavia è importante chiarire che, come testimoniano da ultimo le recenti cronache, il motivo del contendere riguarda da sempre solamente un’attività ben circoscritta ossia quella del rizzaggio e del derizzaggio a bordo delle navi e che la quasi totalità delle richieste armatoriali riguarda esclusivamente tale attività senza interessare il resto delle operazioni e dei servizi portuali. Ed è anche facile intuirne il motivo: tali attività si differenziano da qualsiasi altra operazione svolta in ambito portuale in quanto, mentre queste ultime rivestono prevalentemente natura commerciale, il rizzaggio e il derizzaggio attengono principalmente alla sicurezza della navigazione e proprio per questo sono soggette alla responsabilità del comandante e ricomprese nel Cargo Securing Manual della nave previsto dall’International Maritime Organization (IMO).
Poiché tali attività sono indispensabili ai fini della sicurezza della nave, le norme internazionali (Convenzione STCW – Standards of Training, Certification and Watchkeeping for Seafarers) prevedono che fra le competenze dei marittimi vi siano anche quelle del corretto rizzaggio e derizzaggio del carico.
Anche in Italia l’autoproduzione delle attività di rizzaggio e derizzaggio viene da sempre svolta in molti porti. In alcune realtà, gli armatori preferiscono invece avvalersi dei lavoratori portuali. La scelta degli armatori di effettuare autonomamente rizzaggio e derizzaggio non costituisce un diritto da esercitarsi a priori ma il risultato di una valutazione che tiene conto di svariati fattori: sicurezza, efficienza, operatività ed economicità.
Peraltro da un punto di vista giuridico – se è vero che prassi locali, giurisprudenza e dottrina faticano a qualificare in maniera univoca l’attività in esame facendola rientrare a volte nell’ambito delle operazioni portuali, altre in quella dei servizi portuali ed altre ancora ritenendola una fattispecie a sé ( “operazione nautica” distinta dall’operazione portuale) – è altrettanto vero che il legislatore ha espressamente previsto che le operazioni e i servizi portuali possano essere svolti in regime autoproduzione. Tale principio, laddove l’armatore disponga dei requisiti necessari (dotazioni, marittimi debitamente formati) non può essere assolutamente messo in discussione.
Sostenere quindi che il rizzaggio e il derizzaggio non possano essere svolti in regime di “autoproduzione” quando ciò è consentito per le operazioni e i servizi portuali è privo a nostro avviso di qualsiasi fondamento a prescindere di come si vogliono inquadrare tali operazioni.
Confitarma è fermamente convinta che la possibilità di far svolgere le operazioni di rizzaggio e derizzaggio all’equipaggio della nave sia quindi un diritto dell’armatore che le normative nazionali non possono negare ma solo regolamentare affinché siano svolte in sicurezza.
Tale facoltà è altresì uno stimolo per la competitività e come tale non pregiudica il lavoro portuale ma lo rafforza nei porti dove questo viene svolto in maniera efficiente e sicura. L’unica via per una crescita sostenibile e duratura del lavoro nei porti è, infatti, rappresentata dall’aumento dei traffici marittimi e delle merci movimentate ottenibile solo attraverso la realizzazione di un sistema portuale efficiente.