«La bulimia normativa che investe le Autorità di Sistema Portuale rimane tutt’ora una criticità irrisolta». A parlare è il presidente di F2I Holding Portuale, Umberto Masucci.
Intervenendo nel dibattito che nei giorni scorsi Port News ha contribuito ad alimentare (ospitando le osservazioni di due esperti come Davide Santini e Maurizio Maresca), il noto avvocato napoletano, oggi anche alla guida del Propeller club nazionale, non nasconde come fosse stata proprio la lotta all’eccesso di burocrazia uno dei punti di forza della Riforma Delrio del 2016.
Ma il percorso appena intrapreso è ancora lungo e irto di ostacoli: «Dobbiamo trovare la quadra su una molteplicità di temi – afferma Masucci – a cominciare dal regolamento sulle concessioni ex. art. 18, che attendiamo da 26 anni, e che oggi costringe le AdSP a trovare soluzioni locali spesso diverse da porto a porto».
E poi ci sono i dragaggi, «che restano operazioni complicatissime se le compariamo alle procedure adottate da altri porti europei».
Masucci allarga lo sguardo alla situazione attuale e a quel virus che sta mettendo in ginocchio l’economia italiana. Pur ammettendo che «nella tempesta del Covid-19, e nel generale lockdown delle attività economiche, i porti italiani sono rimasti sempre aperti e pieanamente operativi», il numero uno di F2i, ritiene che oggi occorra fare un ulteriore passo in avanti: «Penso che la difficile situazione imponga quella Regia Nazionale dei Porti introdotta dal Dlgs 169 del 2016 e mai pienamente realizzata. In Italia chiediamo troppo spesso nuove norme. In realtà dovremmo prima provare ad applicare quelle esistenti».
Masucci ricorda come ormai più di quattro anni fa, alla nascita della riforma che ha cambiato il volto degli enti di Governo dei porti, diversi osservatori avessero espresso il timore che una regia nazionale potesse significare una eccessiva statalizzazione delle politiche portuali. «Ho sempre pensato, invece, che una governance nazionale, ovviamente rispettosa delle positive autonomie locali, fosse anche nell’interesse dei singoli porti. In Italia siamo arrivati ad averne 20, che si disputavano 7 milioni di TEU (al netto del transhipment) e non credo che questa conflittualità andasse a beneficio dell’economia nazionale».
L’avvocato napoletano crede fortemente nella specializzazione degli scali portuali: «È questa – ammette – la vocazione di F2I Holding Portuale, che lavora da sempre nei processi di di aggregazione orizzontale tra terminal portuali specializzati nelle rinfuse solide, nel project cargo e nel breakbulk».
La settimana scorsa, il private equity ha per altro concretizzato l’acquisizione di Compagnia Ferroviaria Italiana da parte di F2i, con un’operazione che coinvolge anche ANIA, l’associazione italiana delle compagnie di assicurazione.
L’acquisizione del 92,5% del capitale sociale di CGI da parte del nuovo fondo Ania F2i, il quarto gestito da F2i Sgr, ha segnato per il fondo il debutto nella logistica ferroviaria e per Masucci è la dimostrazione che in Italia si possono trovare investitori in grado di aggregare operatori e di sviluppare progetti intermodali anche con gli scali portuali.
«Gli investitori tradizionali e i fondi devono trovare nei porti dei modelli investment friendly – afferma -; occorre un patto strategico tra terminalisti e Stato, tra privato e pubblico: noi possiamo impegnarci a mantenere la forza lavoro e a continuare negli investimenti, chiediamo però di poter contare su procedure rapide per le concessioni di lungo termine, e su procedure semplificate per i dragaggi».