Recentemente XRTC Consultant ha lanciato un grido d’allarme circa una possibile nuova ondata di NPLs/UTPs (Sofferenze/Inadempienze Probabili) che potrebbero caratterizzare il credito shipping attualmente erogato dalle banche a livello Mondiale.
A mio avviso il fenomeno sarà maggiormente circoscritto a quei segmenti che sono stati caratterizzati negli ultimi anni da una maggiore intensità di investimento, come le crociere e i passeggeri: settori nei quali risulta davvero difficile ridurre lo stock di capitale investito attraverso processi di vendita di asset.
Molte società di navigazione attive in questo tipo di mercato dispongono per lo più di flotte molto giovani, con valore unitario molto alto. Si pensi, ad esempio, alle navi cosiddette contemporary, adatte cioè a trasportare fino a 5 mila ospiti e 1.600 persone di equipaggio, e il cui costo sfiora il miliardo di dollari. Attualmente ce ne sono in costruzione oltre 50 su un totale di circa 115 navi in orderbook.
Lo stesso ragionamento vale per i moderni ropax fast ferry, davvero difficili da convertire o da far funzionare economicamente con un load factor ridotto. Inoltre, in entrambi i casi i costi operativi connessi a forme di warm laying-up sono estremamente rilevanti (circa 15/20 mililioni di dollari nel caso di una cruise ship, e circa 3 mililioni per un medio fast ferry).
Al di la di una più o meno lenta ripresa del seaborne trade, i tradizionali segmenti tramp (dry e liquid bulk) e il container hanno già sperimentato un durissimo processo di ristrutturazione avvenuto nel corso degli ultimi 10 anni e che ha portato l’orderbook e lo sviluppo delle flotte a tararsi sulle nuove esigenze di traffico; a ciò aggiungasi il graduale processo di consolidamento, in particolare nel segmento container.
Dal lato bancario, il progressivo downsize del portafoglio crediti delle banche è stato caratterizzato da una maggiore selettività nell’erogazione del credito ma anche dalle riduzioni causate dalle notevoli perdite e provisions (accantonamenti) generate dal crollo dei valori e dei flussi di cassa disponibili per il servizio del debito, che molto spesso hanno condotto a severe crisi aziendali, sino al fallimento delle stesse imprese.
Significativo è, in questo senso, il dato riportato da Ted Petropoulos nella sua tradizionale survey annuale, dove è riscontrabile il crollo del portafoglio crediti delle prime 40 banche mondiali, passato dai 454 miliardi di dollari del 2011 a poco più di 300 miliardi dello scorso anno. Colpisce ancor di più il fatto che ben cinque banche europee di shipping, con passato gloriosissimo, siano uscite dalla Top Ranking dei primi 15 istituti, cedendo il passo a ben sette banche asiatiche. Per non parlare del ruolo crescente giocato dalle chinese leasing companies che ormai detengono circa il 20% di quota del portafoglio globale e che, molto spesso, costituiscono un elemento di integrazione ulteriore tra cantieri, armatori, e cargo operator cinesi sotto un unico marchio/conglomerato.
Venendo alle vicende che caratterizzano il mercato del credito navale in Italia, il trend conferma lo scenario mondiale: ovvero il graduale ritiro dei principali sette gruppi bancari italiani dal settore shipping e il fenomeno crescente di forme più o meno trasparenti di eterogestione del credito per il tramite di strutture a cui viene sostanzialmente affidata la speranza di recupero dello stesso.
Parliamo, infatti, del ben noto argomento della cessione di crediti Non Performing da parte delle banche italiane a vantaggio di fondi, o presunti tali, i quali dovrebbero assicurare il turn around delle stesse imprese. In effetti, come ripetuto molte volte, e su più tavoli, in molti casi si tratta di fenomeni misleading, cioè di operazioni in cui il soggetto cessionario (ipotetico fondo) non acquista il credito, bensì lo gestisce scambiandolo con un analogo titolo “cartolarizzato” il quale verrà poi rimborsato con i proventi derivanti dall’eventuale incasso del credito o di parte di questo, tramite la vendita dell’asset (nave) sottostante. Per lo svolgimento di tale attività il soggetto che prende in carico il credito percepisce una commissione (a volte molto lauta) che viene pagata sostanzialmente dalle banche cedenti.
L’occasione attuale potrebbe essere propizia per avvicinare l’abbondante risparmio privato all’economia reale, semmai combinandolo con il capitale pubblico resosi disponibile eccezionalmente a causa dello straordinario ed imprevedibile fenomeno pandemico.
La tragicità del momento che ci apprestiamo auspicabilmente a lasciare alle spalle ci lascia in eredità una presenza rilevante di Cassa Depositi e Prestiti, a cui è stata assegnata una mission multipla. Quale migliore occasione per replicare il “modello olandese” , ovvero lanciare un Debt Fund finalizzato a erogare credito alle imprese armatoriali sane in forma alternativa alle banche.
Tale fondo, strutturato sotto forma di ELTIF (European Long Term Investment Fund) potrebbe raccogliere capitali aggiuntivi anche da Privati (Family Office) e da fondazioni, assicurazioni, enti di previdenza ed affiancarsi con iniziative private di Investment Club e dare nuova linfa per assicurare capitali sani per uno sviluppo equilibrato di un’industria che costituisce una infrastruttura logistica degna della massima attenzione.