Interventi

Verso una integrazione sostenibile

Porti e città, ecosistemi complessi

di Ammiraglio Giuseppe Tarzia

Comandante Direzione Marittima della Toscana e Capitaneria di porto di Livorno

Pubblichiamo di seguito l’intervento tenuto dal Direttore marittimo e Comandante della Capitaneria di porto di Livorno, Contrammiraglio Giuseppe Tarzia, durante il 33° meeting internazionale di RETE, quest’anno ospitato dalla città di Livorno.

La sfida che stiamo vivendo da alcuni mesi e che ancora ci accompagnerà, può costituire, per il settore dello shipping e della portualità un acceleratore di molti processi, sfruttando le nuove regole che l’emergenza ci ha imposto. Mi riferisco alla necessità di implementare la digitalizzazione nei processi amministrativi. Dobbiamo a questo punto fare un passo in più, quello della semplificazione. L’obiettivo non può essere infatti quello di digitalizzare la burocrazia, ma giungere ad una contestuale semplificazione dei processi da informatizzare.

Un’opportunità che, associata all’auspicabile migliore utilizzo delle straordinarie risorse economico finanziare annunciate, può tramutarsi in vera occasione per cambiamenti strutturali che si attendono da decenni anche nel comparto dei traffici marittimi, favoriti dalla nuova centralità che il Mediterraneo ha ripreso da alcuni anni con l’ampliamento del canale di Suez e la realizzazione di corridoi logistici con i principali mercati asiatici.

E proprio nel mediterraneo si è soliti distinguere le “città con il porto” dalle “città-porto”. Nelle prime i porti sono stati costruiti, artificialmente, per necessità, nelle altre si sono creati assecondando la natura dei luoghi e gli insediamenti antropici a cui si sono indissolubilmente legati. I primi, per quanto avanzati possano divenire, rimangono sempre soltanto meri “approdi” mentre gli altri divengono ecosistemi complessi in cui l’interazione tra città e porto si rivela un processo in continuo divenire, che richiede sforzi notevoli e che va oltre la necessaria ma non scontata collaborazione tra soggetti a cui sono affidati compiti di governance, e che chiamano in causa diversi attori, molteplici livelli di competenza, cambiamenti culturali spesso difficili da conseguire.

Il terreno dell’interazione tra città e porto può rivelarsi quindi come ambito di mediazione di interessi diversi e spesso divergenti, ma – sempre inquadrato in un’ottica propositiva – anche come “laboratorio” nel quale sperimentare i processi di trasformazione urbana, e non solo.

Si tratta di una relazione (quella tra città e porto) che non è mai unidirezionale, che fa riferimento ad un sistema di interconnessioni multidisciplinare e rispetto alla quale è necessario saper elaborare strategie per interpretare le esigenze specifiche e reciproche, attraverso un approccio integrato che vada al di là della semplice linea di interfaccia fisica tra le due realtà.

Non esiste a ben vedere una formula universalmente valida in tale contesto. Ogni ambito urbano vive infatti in modo diverso e particolare il rapporto con il proprio porto. La coesistenza di funzioni portuali e funzioni urbane crea una sorta di perenne attrito, caratterizzato da un lato dalla necessità del porto di disporre di infrastrutture utili al suo sviluppo, e dall’altro dalle esigenze della città di mitigare gli impatti e gli effetti anche ambientali derivanti dal porto stesso. Sapere gestire le interazioni tra città e porto si rivela allora un fattore chiave per lo sviluppo dell’intero ambito, favorendone certamente la produttività che si alimenta di molti fattori.

Ecco allora che momenti di confronto come quelli offerti dal meeting odierno divengono preziose occasioni per “entrare in rete” con le altre analoghe realtà partendo dall’analisi di esperienze già concluse o in corso nelle aree di interazione porto-città, da intendersi quali ambiti (laboratori ho detto prima) in cui sperimentare progetti e piani strategici integrati, in grado di conciliare le esigenze di sviluppo dei porti con gli obiettivi di qualità urbana e ambientale. Progetti nei quali trovano spazio anche le realtà scientifiche, le comunità di ricerca, le categorie produttive, le istituzioni, la collettività.

Ciò è valido in particolare nel nostro Paese dove i porti si sono ampliati, ma sono rimasti sostanzialmente all’interno del sistema cittadino con situazioni che si presentano spesso critiche dal punto di vista localizzativo, con la conseguenza di impedire spesso l’estensione degli spazi operativi che incontrano limiti nella loro espansione di superficie. Per sopperire alla mancanza di spazi all’interno, la risposta è nell’auspicabile espansione verso il mare di moderne opere di grande infrastrutturazione e nel frattempo i porti devono agire sfruttando le innovazioni tecnologiche e le soluzioni organizzative nelle attività di gestione nave, nei servizi tecnico-nautici, nella movimentazione in banchina e nelle aree di stoccaggio.

Ma è comunque una soluzione di medio termine.

L’innovazione, la tecnologia, la capacità di saper utilizzare in sicurezza ogni risorsa residua dello spazio porto, come accaduto a Livorno, possono funzionare sino a quando si raggiunge il punto critico imposto dal vincolo infrastrutturale, oltre il quale i costi salgono e gli incrementi di produttività divengono sempre più difficili da perseguire.

A ciò si deve aggiungere la valutazione sul grado di connessione con i mercati interni: valutazione che vede i porti quali terminali marittimi di corridoi plurimodali terrestri, ossia fasce di territorio nelle quali si sovrappongono reti multimodali di trasporto caratterizzate da elevata interoperabilità. Questa è la catena logistica che, generalmente intesa, comprende una serie di attività di servizi di cui si avvalgono i sistemi produttivi e distributivi che, in modo trasversale, assumono sempre maggiore importanza nella creazione di valore da parte delle imprese e che si trovano ad interfacciarsi con strategica reciprocità con i sistemi di trasporto.

E questo è ciò che costituisce il vero moltiplicatore in termini di occupazione, reddito e positive ricadute sul territorio.

E’ infatti noto che il valore aggiunto dei trasporti via mare copre solo una frazione di quanto va attribuito alla catena logistica. Espresso in numeri significa che mentre l’incidenza sul PIL del cluster portuale vale poco meno del 3%, l’incidenza della logistica è circa cinque volte superiore, oltre il 14%.

È dunque su tali aspetti che occorre focalizzare l’attenzione e gli sforzi nel momento in cui si ipotizza di realizzare sistemi integrati tra il porto, la città ed il territorio retrostante.

Alla luce di ciò, occorre anche coniugare questi aspetti con il concetto di sostenibilità, considerando il fatto che creare processi di logistica portuale sostenibile significa pianificare un sistema che punti al benessere costante, e preferibilmente crescente, con la prospettiva di lasciare alle generazioni future una qualità della vita migliore di quella attuale. Per realizzare questo nuovo modello di sostenibilità, la logistica portuale deve tenere ben presenti quelli che sono i problemi da risolvere nel meccanismo di integrazione tra città e porto, come l’eccessivo ricorso ai trasporti su strada, la mobilità urbana, la necessità di ricorrere a fonti alternative e il degrado atmosferico.

Incontri come quelli offerti da RETE sono una preziosa occasione di confronto e discussione per soluzioni che, favorendo la compatibilità tra il porto ed il tessuto urbano retrostante, possano sostenere lo sviluppo di quei sistemi integrati che inducano verso la crescita (sostenibile) del territorio.