La sorte delle concessioni demaniali marittime è sicuramente uno dei temi più discussi sia sul piano politico che a livello di giurisprudenza. Il terreno di maggiore scontro vede schierati, da un lato, i sostenitori delle proroghe automatiche (prospettiva fatta propria dal legislatore italiano) e, dall’altro, i fautori di una procedura concorrenziale e selettiva (prospettiva europeista). Le proroghe sarebbero giustificate da ragioni di politica economica-sociale; la procedura concorrenziale deriverebbe invece dall’applicazione della direttiva 2006/123/CE, nota come “Bolkestein”, che vuole valorizzare la scarsità delle risorse naturali ed il conseguente numero limitato delle autorizzazioni disponibili.
Il contesto italiano è quindi incentrato su una continua stratificazione normativa tesa sostanzialmente alla tutela della “continuità” che lo pone, di fatto e di diritto, agli antipodi rispetto ai principi ispiratori della direttiva Bolkestein (e non solo). Scorrendo gli eventi più salienti di questa querelle, lo spartiacque è sicuramente costituito da una nota pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (14 luglio 2016, C‑458/14 e C‑67/15), con cui è stata sancita l’incompatibilità, rispetto all’ordinamento europeo, della normativa italiana che disponeva la proroga automatica delle autorizzazioni demaniali marittime e lacuali per attività turistico-ricreative.
Ciò nonostante, il Legislatore italiano ha nuovamente disposto una proroga, fino al 31 dicembre 2033, delle vigenti concessioni di beni demaniali marittimi, specchi acquei e pertinenze demaniali marittime (Legge 145/2018, art. 1, commi 682 e 683). A fronte di tale decisione, i comportamenti che si sono succeduti sono stati disomogenei: alcuni Comuni hanno effettivamente concesso la proroga, mentre altri la hanno negata disapplicando la norma nazionale; alcuni hanno disposto delle proroghe, ma limitate nel tempo, mentre altri ancora, dopo averle concesse, ne hanno disposto l’annullamento in autotutela. In questo panorama frastagliato, il Legislatore ha pensato di ribadire, ancora recentemente, il valore della proroga (D.L. n. 34/2020, convertito con L. 77/2020, art. 182), mentre i TAR si sono sostanzialmente divisi.
Ha fatto notizia, in particolare, un ben preciso orientamento del TAR Puglia, Sezione distaccata di Lecce, il quale, con alcune sentenze gemelle del 2020 (n. 1321 e 1322 del 27 novembre 2020) ed altre più recenti decisioni del 2021 (in primis la sentenza n. 71 del 15 gennaio 2021), ha affermato la legittimità delle proroghe. Secondo il TAR salentino, infatti, i Comuni non potrebbero esimersi dall’applicare la normativa nazionale, ancorché questa si ponga in violazione del diritto eurounitario. Ciò in quanto la direttiva Bolkestein non avrebbe carattere self executing (proprio, invece, dei regolamenti) ed in quanto un provvedimento che non garantisse la proroga si porrebbe in manifesta violazione di legge. Di tutt’altro avviso è, invece, una recente sentenza del TAR Campania, sede distaccata di Salerno (n. 265 del 29 gennaio 2021), che ha negato l’applicabilità della proroga facendo leva, anche, su un intervento in tal senso dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (segnalazione AS1684 del 1° luglio 2020, parere AS1701 del 4 agosto 2020) che aveva valorizzato “i benefici che deriverebbero dalla periodica concorrenza per l’affidamento attraverso procedure ad evidenza pubblica”.
Così pure una sentenza del TAR Sicilia, Sezione distaccata di Catania (n. 505 del 15 febbraio 2021), che, per dissentire apertamente dalle sentenze del TAR Lecce, ha dogmaticamente ricordato la prevalenza gerarchica del diritto europeo rispetto a quello nazionale. Non poteva mancare una pronuncia (TAR Abruzzo, n. 61 del 10 marzo 2020) con cui si è addirittura riconosciuta piena validità al “diritto di insistenza” (principio espunto nel 2009 dall’articolo 37 del codice della navigazione proprio per adeguare l’ordinamento alla direttiva Bolkestein) previsto da una legge regionale. In questa intricata situazione è inevitabile attendersi che sia il Consiglio di Stato a portare chiarezza (o ulteriore scompiglio).
In questo senso, si deve registrare una recente sentenza (Sez. IV, n. 1416 del 16 febbraio 2021) che ha affermato – sia pur incidentalmente – come il rilascio e la variazione delle concessioni debba avvenire nel rispetto delle direttive comunitarie e mediante ricorso a procedure di selezione aperte, pubbliche e trasparenti. Di contro, quale rovescio della medaglia, non si può non prendere atto del fatto che il recente indirizzo del TAR Lecce ha retto alle prime contestazioni, uscendo indenne dalla fase cautelare delle impugnazioni (Sez. V, ord. nn. 643 e 644 del 12 febbraio 2021).
In questa vera e propria guerra di posizione, non poteva mancare l’intervento, alquanto destabilizzante, dello stesso Frederik Bolkestein, padre della direttiva, che a margine di un evento tenutosi in Italia, avrebbe così dichiarato “non voglio commentare la legge italiana ma per quanto mi riguarda le concessioni balneari non sono servizi ma beni, e quindi la direttiva sulla libera circolazione dei servizi non va applicata alle concessioni delle spiagge”.
Non resta che attendere, dunque, che i nodi (le proroghe automatiche) vengano al pettine (il Consiglio di Stato), sempre che il Legislatore, mosso forse dall’intento di porre un argine alle difficoltà del settore del turismo generate dalla pandemia, non decida di intervenire nuovamente.