Pubblichiamo di seguito, ringraziando la Casa Editrice Guida Editori per la gentile concessione, un estratto della nuova opera scritta dall’ex presidente dell’Autorità di Sistema Portuale del Mar Tirreno Centrale, Pietro Spirito: “Il futuro dei Sistemi Portuali: Governance, Spazi Marittimi, Lavoro”.
La veste istituzionale di ente pubblico non economico ha mostrato nel corso di questi anni tutti i limiti entro i quali viene ingabbiata l’azione delle Autorità di Sistema portuale. Le precedenti Autorità Portuali, prima della riforma del 2016, si sono barcamenate tra natura pubblicistica e natura privatistica, cercando di cogliere in modo opportunistico il meglio dalla doppia maglietta con la quale operavano, anche con funambolici equilibrismi.
L’Associazione europea dei porti (ESPO) ha identificato tre modelli di riferimento per le Autorità portuali nel nostro Continente: proprietario (landlord), regolatore/moderatore (regulator), gestore operator).
Il modello italiano si colloca attualmente nella seconda definizione, con molti limiti dettati dalla regolazione concorrente di tanti altri soggetti e dalla crescente difficoltà a svolgere tale ruolo in un mercato che si è andato configurando con la concentrazione del potere in assetti oligopolistici, che spuntano le unghie anche al più volenteroso dei regolatori.
La condizione diventa asimmetrica quando i pochi grandi operatori hanno nelle mani il futuro dei porti, potendo rapidamente dislocare in modo differente i propri flussi alla ricerca delle migliori convenienze.
I tre modelli identificati da ESPO si confrontano con una realtà strategica che è in corso di profonda riconfigurazione. La rapidità dei cambiamenti richiede una flessibilità decisionale da parte delle Autorità portuali che confligge con l’assetto pubblicistico, destinato a generare quella che gli economisti chiamano la cattura del regolatore.
Tra le polarità dell’assetto pubblico o privato nella struttura istituzionale delle Autorità portuali può essere perseguito mediante un terzo profilo, adottato in altri contesti con successo nell’ordinamento italiano, vale a dire l’assetto della società per azioni in mano pubblica, perseguendo il pubblico interesse mediante le regole del codice civile.
Varrebbe allora la pena di interrogarsi su quali profili di forma giuridica sarebbe opportuno orientare la cornice istituzionale delle Adsp, dovendo adottare un approccio di carattere commerciale. La formula della società per azioni, che costituisce il normale riferimento quando si vuole assumere la veste di soggetto economico, richiede l’approfondimento di alcune questioni strategiche di grande rilevanza.
Innanzitutto, quale può essere il capitale sociale dei nuovi organismi portuali? Assegnare in dotazione il patrimonio demaniale alle Adsp richiede, con ogni probabilità, come si è fatto nel caso di Rete Ferroviaria Italiana trasformata in spa, la definizione di una concessione di lunga durata.
Inoltre, se non si vuole dotare i nuovi soggetti dell’intero patrimonio demaniale marittimo, si può distinguere all’interno del patrimonio quella parte che deve restare indisponibile, quindi non cedibile al mercato, rispetto ad una parte di patrimonio non strumentale che può invece formare oggetto della iniziativa commerciale dell’Autorità, sempre mediante l’istituto della concessione.
In alternativa, per evitare di rendere anche teoricamente vendibile il demanio marittimo, se ne può estrarre una parte che non ha rilevanza strategica sotto il profilo dello sviluppo marittimo, per conferire alla società per azioni portuale un compendio non strategico che può essere oggetto anche di valorizzazione o di operazioni di mercato, mentre le banchine restano nel patrimonio del demanio marittimo e sono affidate alla sola gestione delle Adsp.
La proprietà delle società per azioni portuale deve restare nella sfera dello Stato, e, come abitualmente si opera in questi casi, l’esercizio del potere di azionista deve stare nelle mani del Ministero dell’Economia, mentre l’esercizio della funzione di indirizzo e di controllo può essere affidata al Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti, esattamente come avviene con il Gruppo Ferrovie dello Stato.
Inoltre, va considerato che le Autorità di Sistema svolgono anche ruoli di natura pubblicistica che è opportuno mantenere nel perimetro della società per azioni: pensiamo al potere di ordinanza per la tutela dell’interesse pubblico, quando si devono ad esempio revocare o sospendere concessioni per consentire la realizzazione di opere infrastrutturali di capitale importanza.
Con la forma della società per azioni questo importante strumento di intervento potrebbe non essere più utilizzabile, limitando per questa via l’operatività del sistema portuale. Varrebbe allora la pena di introdurre una norma speciale nell’ambito della trasformazione in società per azioni che consenta di poter continuare ad esercitare un ruolo pubblicistico con perimetri molto ben definiti.
Andrebbero dunque valutate opzioni che consentano di mantenere in capo ad una società per azioni anche poteri di ordinanza e di funzioni di polizia – almeno amministrativa – che sarebbero di estrema utilità per poter operare con efficacia nel perseguimento di quelle finalità di interesse generale che resterebbero in capo alle Autorità di Sistema Portuale trasformate in società per azioni.
In subordine, se non si riesce a sciogliere i nodi strategici coerenti con una trasformazione in spa delle Adsp che consenta da un lato di evitare rischi sulla privatizzazione proprietaria di asset di interesse collettivo e dall’altro di disporre di poteri autoritativi indispensabili per il perseguimento di funzioni di interesse generale, può essere utilizzata la veste giuridica dell’ente pubblico economico, che contempera al tempo stesso da un lato l’esigenza di operare, con flessibilità e senza lacciuoli, le scelte economiche necessarie e dall’altro il mantenimento di poteri pubblicistici che sono necessari a dare ordine in un sistema che richiede un potere sovraordinato rispetto ai concessionari.
Restare nella attuale forma giuridica dell’ente pubblico non economico presenta solo la certezza di arroccare le Adsp in un formalismo burocratico che danneggerà l’evoluzione strategica dei porti italiani, rallentando l’esecuzione delle opere infrastrutturali indispensabili e spingendo sempre più queste istituzioni nella trappola dell’amministrazione passiva: che consiste nel rinviare le decisioni per non assumersi le conseguenti responsabilità dentro una gabbia di normativa di diritto amministrativo che intrappola nel formalismo cartaceo.
In alternativa, se si ritiene invece che debba essere confermata la natura pienamente pubblicistica, tanto varrebbe allora incorporare le Adsp nel Ministero delle Infrastrutture e Trasporti, all’interno di una Direzione Generale Porti, con i suoi distaccamenti periferici. I modelli ibridi sono sempre suscettibili di distorsioni ed equivoci.
La decisione della Commissione Europea sulla tassazione dei porti induce ad una revisione dell’assetto istituzionale. Una discussione su questi temi appare non solo matura, ma necessaria, per evitare che una riforma positiva, come quella Delrio, perda di efficacia mantenendo per le Adsp una forma giuridica troppo sbilanciata in senso pubblicistico, che ne depotenzia la capacità operativa e che pone i nostri porti in una condizione di minorità rispetto alla portualità del Nord Europa.
Non esprimo certezze su temi che sono certamente delicati e complessi. Questo contributo intende essere soltanto l’apertura di una analisi che deve essere svolta sine ira ac studio, con una modalità che guardi innanzitutto all’interesse primario di dotare l’Italia di un sistema portuale maggiormente competitivo nell’interesse del Paese, dell’industria marittima, dell’economia nel suo insieme, della logistica e dello sviluppo turistico.