Marittimi al porto di Livorno
© Luigi Angelica
Interventi

Riparto delle competenze

Quando il confine lo fissano gli aggettivi

di Massimo Provinciali

Segretario generale dell’Autorità di Sistema Portuale del Mar Tirreno Settentrionale

Il recente intervento della professoressa Giorgia M. Boi sui ruoli dell’Autorità di Sistema Portuale e dell’Autorità marittima mi ha sollecitato un paio di riflessioni: una di carattere generale sulla qualità della normazione; l’altra, più specifica, sulla relazione tra le due Autorità di matrice statale operanti in porto.

Sul primo punto non posso non dirmi d’accordo: da tempo il legislatore ha ormai rinunciato a due delle principali caratteristiche della norma primaria – la chiarezza di formulazione e la nettezza delle scelte – così compromettendo la semplificazione delle relazioni istituzionali e la certezza di regole per il cittadino, che invece si trova spesso a vagare in quelli che la professoressa Boi chiama efficacemente «momenti di incongruità operativa».

La Riforma Delrio attuata con i Decreti legislativi n. 169 del 2016 e n. 232 del 2017 non ha trovato la forza, il coraggio o la capacità di definire nettamente i confini tra le competenze dell’Autorità di Sistema Portuale e l’Autorità marittima. Quantomeno su alcune materie, tra le quali – importantissima – l’amministrazione del demanio marittimo portuale oppure il ruolo del rappresentante delle Capitanerie di porto nel Comitato di gestione.

Posto che l’amministrazione del demanio marittimo si sostanzia in tutti i provvedimenti che non ne intaccano la proprietà (ad esempio la sdemanializzazione), un passo avanti rispetto alla formulazione del 1994 sembra essere l’aggiunta della locuzione «in via esclusiva» alla previsione che l’amministrazione delle aree e dei beni del demanio marittimo ricompresi nella propria circoscrizione fa capo all’Autorità di Sistema Portuale [art. 6, comma 4, lett. e) della Legge n. 84/94].

Perché allora limitare l’azione del Presidente ai procedimenti di cui agli articoli da 36 a 55 e 68 del Codice della navigazione [art. 8, comma 3, lett. m) della Legge n. 84/94], lasciando fuori per esempio l’accertamento dei confini (la c.d. “delimitazione”, art. 32 C.n.) e l’assegnazione in uso ad altre pubbliche amministrazioni (la c.d. “consegna”, art. 34 C.n.)?

E perché affermare che in Comitato di gestione il rappresentante dell’Autorità marittima vota «nelle sole materie di competenza» dimenticandosi però di indicare quali esse siano? Non dobbiamo poi sorprenderci se – nonostante le successive circolari ministeriali esplicative – in alcune AdSP non voti mai, in altre voti sempre mentre in altre ancora a seconda dei momenti…

Vien da pensare che il confuso pudore del legislatore nell’operare scelte nette e chiare sia figlio della paura di scontentare qualcuno, ma è ovvio che non è così quando si parla di assetti istituzionali e di riparto delle competenze.

Si ha semmai l’impressione di tornare indietro di oltre vent’anni allorquando – nel dare finalmente corpo alla delega alle Regioni delle funzioni amministrative sul demanio marittimo extraportuale – si scelse di lasciare la proprietà demaniale allo Stato (che continua a percepire i canoni) e di conferire le funzioni alle Regioni (che in alcuni casi hanno istituito delle addizionali ai canoni), le quali hanno poi delegato le funzioni medesime ai Comuni…

Non sarebbe stato più semplice (sia per la Pubblica Amministrazione che, soprattutto, per il cittadino) trasferire il demanio marittimo extraportuale ai Comuni per assimilarlo a tutto il resto del territorio comunale?

Non posso quindi che condividere l’invito (neanche tanto velato) che la professoressa Boi rivolge al legislatore affinché riscopra la capacità di operare scelte chiare e nette.

Per quanto riguarda il tema specifico dei rapporti tra AdSP e Autorità marittima, con particolare riferimento alla materia delle concessioni demaniali marittime, è pur vero – per usare sempre le sue parole – che «l’ancora imperfetta definizione di alcuni ruoli delle medesime (…) esalta alcune incongruità» ma in questo caso mi pare che la soluzione sia semplice oltre che sorretta da due considerazioni.

La prima è politico-istituzionale: mi piace pensare di vivere in un Paese in cui gli aspetti della vita civile (e tali sono, per il loro valore economico-sociale, le concessioni demaniali) siano gestiti non da un Corpo militare ma per quanto di propria competenza dall’Amministrazione civile dello Stato, delle Regioni e degli Enti locali.

Nessuno colga in questa mia posizione il tentativo di svalutare il lavoro del Corpo delle Capitanerie di porto. Per comprendere quanto la nostra Guardia costiera sia un’eccellenza (non solo a livello europeo) sarebbe sufficiente citare il suo ruolo nel soccorso in mare connesso ai fenomeni migratori (per il quale si candida al Premio Nobel per la pace) e i forse meno evidenti compiti di ricerca e soccorso soprattutto nella stagione estiva nonché le sue competenze in materia di tutela dell’ambiente marino e della pesca professionale responsabile oltre a quelle in materia di Port State Control.

Nei miei trent’anni di vita ministeriale ho peraltro conosciuto decine di ufficiali e sottufficiali di primissimo livello (alcuni, non certo a caso, transitati negli organici delle Autorità portuali o degli Enti locali) e con molti di loro ho stretto rapporti personali di reciproca stima: a cominciare dall’attuale Comandante generale, ammiraglio Giovanni Pettorino, la cui amicizia è per me un punto di orgoglio.

Il mio intervento attiene semplicemente agli assetti organizzativi dello Stato-Ordinamento coerenti con una ripartizione di funzioni e quindi alla burocrazia nella sua accezione più sana e più nobile: da un lato ci sono i Corpi militari e di polizia, dall’altro un’Amministrazione civile orientata ai servizi per la vita quotidiana del cittadino.

La seconda considerazione poggia invece su un elemento (finalmente!) di chiarezza, per far emergere il quale non occorrono alchimie interpretative ma il semplice ricorso alla grammatica italiana.

La chiave del riparto di competenze tra Autorità di sistema portuale e Autorità marittima risiede infatti nell’articolo qualificativo che accompagna il sostantivo “autorità”, definendone appunto la qualità specifica: sono quel “portuale” e quel “marittima” che ci indicano con nettezza la rotta da seguire per individuare o descrivere le rispettive competenze.

L’Autorità di Sistema Portuale è (e deve essere) quella che governa tutti i processi amministrativi di quanto avviene nel porto, sia esercitando competenze proprie sia coordinando le attività svolte nel porto dalle altre pubbliche amministrazioni, Capitanerie di porto comprese. Lo stabilisce con chiarezza l’art. 8, comma 3, lett. g) della Legge n. 84/94 ed è questa disposizione il fondamento normativo dello sportello unico amministrativo (di cui all’articolo 15-bis della legge) che assegna all’AdSP un ruolo di primus inter pares.

Tutte le competenze che la normativa antecedente alla Riforma Delrio assegnava al Corpo delle capitanerie di porto (circolazione stradale in ambito portuale, funzioni in materia demaniale fuori dei confini degli articoli da 36 a 55 e 68 del Codice della Navigazione, verifica dell’autoproduzione non autorizzata, ecc.) vanno quindi, ormai anche espressamente, allocate in capo all’AdSP: per coerenza, per semplificazione, per completezza, per trasparenza.

L’Autorità marittima è (e deve essere) invece quella che governa i processi – in particolare quelli relativi alla sicurezza – che attengono alla navigazione e alla nave fino a quando questa non è ormeggiata a banchina: verifiche circa l’idoneità tecnico-nautica, tabella d’armamento, security, disciplina della navigazione, ecc.

Il momento di congiunzione delle competenze delle due Autorità rimane quello della disciplina dei servizi tecnico-nautici. Non perché sia una zona grigia ma perché è il luogo in cui le esigenze di sicurezza (proprie dell’Autorità marittima) e quelle della competitività commerciale del porto (proprie dell’Autorità di Sistema Portuale) si compongono in funzione di un medesimo fenomeno. Non a caso in questa materia la legge prevede l’intesa ovvero la forma più intensa di cooperazione tra due organismi diversi.

Per tutti questi motivi resto quindi convinto che l’auspicio espresso dalla professoressa Boi («un complesso di norme organicamente concepite che comprendano, tra l’altro, una più chiara definizione dei ruoli assumibili dalle due Autorità») possa in realtà realizzarsi piuttosto facilmente.

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