Dimenticatevi dei terminal completamente automatizzati o delle gru di banchina comandate da remoto. Nei porti dello Stato di Washington potrebbero rimanere pura fantascienza. Il Governatore Jay Inslee ha infatti messo al bando l’automazione. Lo ha fatto con una legge nella quale si fa divieto «ai distretti portuali e alle Port development Authority» di destinare anche soltanto un centesimo alle nuove tecnologie.
Lo Stato dispone di 75 distretti portuali o Autorità Portuali, corporazioni municipali definibili alla stregua di enti pubblici economici dotati di autonomia economica e finanziaria, in grado di svolgere direttamente o indirettamente attività di impresa ai fini dello sviluppo competitivo del territorio di riferimento. Sono realtà uniche del loro genere, governate da commissioni responsabili della gestione ordinaria e straordinaria delle risorse dell’Ente, che provvedono ad assumere direttamente il personale ai fini del soddisfacimento delle esigenze di funzionamento dei porti.
Sebbene focalizzata soltanto su Washington, la legge anticipa gli sviluppi cui potrebbero inevitabilmente approdare le negoziazioni contrattuali schedulate per il 2022 tra l’Unione Sindacale dei lavoratori portuali (l’International Longshore and Warehouse Union) e la Pacific Maritime Association, che rappresenta gli ocean carrier e i terminal operator in tutti i porti della costa occidentale.
«La posta in gioco è molto alta – afferma il presidente dell’ILWU, William Adams – È indubbio che l’automazione abbia come conseguenza implicita quella della progressiva riduzione di un numero sempre maggiore di operai».
L’Automation è stata per diversi anni il pomo della discordia nelle trattative tra le due controparti. E il nuovo Washington bill è di per se rivoluzionario perché mette lo Stato dalla parte dei lavoratori e della stabilità occupazionale, specialmente con riferimento ai problemi connessi alla transizione verso l’industria 4.0.
«Apprezziamo lo sforzo del Governatore di Washington, che ha ascoltato la nostra richiesta di aiuto: il ricorso alla tecnologia non deve trasformarsi in una mannaia per gli impiegati addetti alle operazioni portuali» ha sottolineato Adams, aggiungendo che la lotta all’inquinamento ambientale può essere sostenuta anche senza il necessario ricorso all’automazione. «I porti più grandi della west coast USA stanno già provando a ridurre le emissioni di Co2 con nuovi mezzi, più efficienti e guidati da operatori preparati».
La firma della legge è stata accolta positivamente dai membri della ILWU Local 19 di Seattle che settimane fa aveva lanciato una campagna per la promozione di una legge che impedisse alle macchine di sostituire i lavoratori portuali dei porti di Tacoma e Seattle, realtà facenti parte della Northwest Seaport Alliance.
Va però sottolineato che il Bill non risolve completamente la questione, avendo un ambito soggettivo di applicazione circoscritto soltanto ai port district e alle port development authority ma non ai terminal operator, che quindi sono liberi di scegliere quali investimenti realizzare in termini di equipment.
Un chiaro esempio di questa contraddizione è il nuovo piano di espansione del porto di Seattle. L’inaugurazione della prima fase del nuovo terminal 5, prevista per la fine dell’anno, segna soprattutto l’avvio di una importante iniziativa che dovrà risolvere i problemi di congestione dello scalo e convogliare ancora più traffico di merce, accogliendo le nuove mega-portacontainer. Nel progetto non si fa riferimento ad investimenti finalizzati all’automazione ma non è escluso che il concessionario non possa optare per soluzioni simili.
Siamo ancora lontani dal rischio di una sostituzione al 100% del lavoro umano con quello dei robot. Appare però ormai visibile il cambiamento di paradigma che ha investito i porti negli ultimi anni: se il gigantismo navale, le integrazioni verticali e orizzontali, le fusioni e le alleanze tra compagnie marittime hanno trasformato il panorama generale sul lato mare, la tecnologia sta facendo il resto sul lato banchina.
«Uno dei punti essenziali che il caso statunitense evidenzia – con esiti che accogliamo con soddisfazione – è che i processi di cambiamento devono essere governati» ha detto a Port News Livia Spera, segretaria generale della Federazione Europea dei lavoratori del Trasporto (European Transport Workers’ Federation). «Gli Stati devono stabilire regole chiare per fare in modo che la transizione verso nuove tecnologie sia giusta, sia verso i lavoratori che verso i contribuenti e la società in senso lato».
La questione è complessa e il dibattito è tuttora aperto, anche all’interno dell’ETF. «Quello che è certo – fa osservare ancora Livia Spera – é che il lavoro portuale si è evoluto nel corso dei decenni e che i processi di cambiamento sono andati a buon fine quando i lavoratori e i sindacati sono stati coinvolti sin dal principio».
Per la segretaria generale della Federazione i cambiamenti attuali devono essere visti in questo contesto. «Se dovessi sinterizzare la nostra visione, userei il concetto “no all’automazione e alla digitalizzazione senza contrattazione”: si tratta di processi che devono essere governati in modo da garantire che l’innovazione non venga attuata sulle spalle dei lavoratori, che ne pagherebbero il costo in termini di perdita di posti di lavoro. In questo senso c’è ancora molto lavoro da fare perché ancora troppo spesso alcune aziende pensano di poter imporre il cambiamento tecnologico. Tutto ciò conduce naturalmente ad un aumento della conflittualità».
Una delle scelte legittime, allora, può essere quella di fare in modo che i finanziamenti pubblici non siano utilizzati per consentire l’introduzione di nuove tecnologie che mettano a rischio l’occupazione. «Si tratta di una scelta giusta perché a nostro avviso gli investimenti pubblici devono generare occupazione. D’altro canto, e si tratta di un approccio complementare, la progressiva introduzione di macchinari che si sostituiscono in tutto o in parte al lavoro umano può essere essa stessa fonte di entrata per le finanze pubbliche, attraverso meccanismi di tassazione (es. Robot tax) in grado di bilanciare la perdita di occupazione e di fare in modo che gli investitori privati facciano la loro parte, versando un’equa quota di imposte».