«In Italia si parla tanto, forse troppo, di Green Pass, non si parla invece mai di Cina. La crisi energetica che ha investito Pechino è preoccupante e potrebbe avere ripercussioni serie su tutta la supply chain ma a parte qualche giornale di settore, nessuno se ne cura». Alice Arduini conosce forse meglio di altri le ginzburghiane implicazioni morali della distanza.
La lunga gavetta nel ramo delle spedizioni internazionali le ha fatto vivere forse quasi continuamente il cosiddetto dilemma del mandarino.
E oggi che si trova a dover gestire una propria casa di spedizioni, la Alix International – aperta ad aprile, quindi in pieno periodo di crisi post-pandemica – la Arduini sa quanto sia ambigua la massima attribuita a Diderot: “L’assassino, finito sulle rive della Cina, non è più in grado di scorgere il cadavere che ha lasciato sanguinante sulle rive della Senna”.
Occhio non vede, cuore non duole. Niente di più falso, soprattutto in un settore nel quale il battito d’ali di una farfalla avvertito in Sud America può diventare un tifone in Asia. «L’import cinese riveste un ruolo chiave nella mia società – dice – e non possiamo non seguire con certa apprensione quanto sta accadendo in quel Paese, ancora oggi alle prese con seri problemi di gestione della Pandemia».
In particolare, è la crisi energetica a preoccupare di più il piccolo spedizioniere: «L’estrema carenza di elettricità causata dall’impennata dei prezzi delle materie prime nel più grande esportatore del mondo sta avendo conseguenze serie sulla supply chain. E la tempistica non potrebbe essere peggiore, in un periodo come questo, in cui l’industria navale sta facendo i conti con le linee di approvigionamento congestionate».
La situazione è preoccupante: «E’ dall’inizio della settimana che sto ricevendo telefonate allarmate di molti miei clienti. Mi chiedono una mano: diverse fabbriche cinesi, specie quelle periferiche, si trovano costrette a ridurre la produzione e a spegnere l’interruttore a partire dalle 19.00 pur di dare seguito alle necessarie politiche di contingentamento energetico introdotte dal Governo di Pechino».
La Arduini riporta la testimonianza di una imprenditrice che importa componenti di illuminazione dalla Cina: «Mi ha riferito che se in tempi normali ci volevano 30 giorni per produrre parti di illuminazione, ora ce ne vogliono novanta. La cliente non sa quindi come comportarsi, se debba ordinare più merce in una volta sola per assicurarsi le materie prime richieste».
Lo shock energetico della Cina si traduce insomma in uno shock logistico: «Il capodanno cinese è alle porte e non potrà che andare ad impattare su una situazione già critica. Alcuni clienti brancolano nel buio e chiamano noi spedizionieri per il necessario supporto ma la situazione ci sta sfuggendo di mano».
Lo spedizioniere si muove quindi in un contesto delicato, in un mercato dopato dalle politiche commerciali messe in atto dai big carrier nel settore dei container: «Io lavoro con la Cina in full container o in groupage. A dispetto della tanto sbandierata guerra fredda in atto tra i due Paesi, Pechino e Washington non hanno mai avuto così tante relazioni commerciali».
Gli USA sono oggi il vero centro di potere commerciale: «Stanno continuando ad acquistare prodotti dai mercati del Far East asiatico a un ritmo che, in vista del capodanno cinese, sta diventando insostenibile». Un comportamento da shopping compulsivo, quello dei consumatori americani, che alimenta nuove speculazioni commerciali sulla la rotta più remunerativa del pianeta: «Spostare un container da quaranta piedi dalla Cina agli USA costa oggi 30.000 dollari, praticamente il doppio di quello che paghiamo nei trade tra l’Asia e il Nord Europa».
Facile immaginare perché i liner abbiano deciso di concentrare navi e container sul lucroso business sino-statunitense, andando ad aggravare i problemi di congestione di cui soffrono i porti statunitensi, e lasciando invece scoperte le altre rotte. «L’Europa meridionale è diventata marginale nella mappa degli interessi economici dei vettori», dice l’Arduini che lamenta la crescente difficoltà nel riuscire a trovare sulla nave slot disponibili.
Certo, in questi casi, essere piccoli spedizionieri può diventare un elemento di vantaggio competitivo. La Alix International è riuscita a strappare clienti importanti a ben più blasonate case di spedizione perché a dispetto di queste ultime non è obbligata a far pagare i noli in Italia: «Noi li facciamo pagare direttamente ai cinesi. Se hai un buon agente in Cina riesci a contrattare un nolo migliore e ad avere margini maggiori di profitto, assicurandoti peraltro la spedizione della merce» fa osservare, aggiungendo come i grandi spedizionieri ricevano dalle compagnie marittime sconti tariffari in base ai TEU importati, e che quindi debbano obbligatoriamente dimostrare di imbarcare la merce in Italia con il contratto imposto da queste ultime. «Io non devo dimostrare niente. Non siamo schiavi delle filiale statunitense o cinese o delle politiche di negoziazione dei noli».
Dimensioni a parte, la verità è che a lungo andare questa situazione finiranno prima o poi con il pagarla tutti, anche i consumatori finali, cui si scaricherà il sovraccosto del nolo marittimo e del trasporto terrestre, anche per effetto dell’aumento del prezzo del carburante. «L’effetto è quello di un impoverimento della nostra industria. Tante aziende in Italia si sono viste costrette a registrare una diminuzione degli utili perché non possono certo cambiare i propri piani di vendita in corso d’opera. Conosco imprese che, a fronte di un aumento dei costi, hanno rinunciato addirittura agli utili pur di non cambiare i propri prezzi di listino già fissati».
Alice Arduini si augura che a livello governativo, le istituzioni internazionali possano presto mettere mano ad un problema di tenuta della supply chain globale ma dubita che verrà fatto qualcosa prima del Capodanno cinese. Tradotto: «Ci aspettano tempi difficili. I big carrier continueranno a macinare profitti mentre per i caricatori e gli spedizionieri aumenteranno le difficoltà».