Il 2030 è alle porte e il 2050 arriverà in un lampo, intervenire per bloccare l’involuzione climatica è un imperativo per la salute e la sopravvivenza delle specie esistenti, a cui nessuna attività antropica può ulteriormente sottrarsi.
L’adozione a bordo delle navi di nuovi sistemi propulsivi verso le zero emissioni è ormai una corsa, essendo il trasporto marittimo, dopo quello aereo, il più esposto al moltiplicarsi costante dei viaggi. L’ascesa dei traffici globalizzati delle supply chain ha fatto crescere negli ultimi 20 anni le emissioni marittime da carburante del 32%, che incrementeranno entro il 2050 tra il 50 e il 250% dai livelli del 1990 (dato Parlamento europeo), con l’espandersi di flotte e volumi.
Tale questione si annoda alla strategicità di rotte, flussi e volumi marittimi, rendendo problematiche, se non insidiose, le scelte di transizione verso l’eliminazione delle orme di carbonio delle navi, che inevitabilmente condizionano accessibilità, controllo e economicità del mercato marittimo.
L’impatto ambientale delle navi è entrato nel dibattito pubblico, rompendo l’isolamento di uno dei settori storicamente più chiusi ai non addetti ai lavori. Iniziative di ampi gruppi di opinione stanno spingendo i consumatori a prendere posizione sulla decarbonizzazione del trasporto marittimo.
Recentemente, Ship It Zero, una campagna di mobilitazione guidata dalle organizzazioni ambientaliste Pacific Environment e Stand.earth, sta chiedendo ai giganti globali della vendita al dettaglio, come Ikea, Amazon, Target e Walmart, di passare entro il 2030 a navi a zero emissioni per il trasporto dei loro prodotti, bocciando soluzioni di transizione come crediti di carbonio, biocombustibili e GNL (Gas Naturale Liquefatto). L’istanza ha una ricaduta diretta sui marchi che negli ultimi mesi stanno internalizzando parte della loro domanda di trasporto marittimo container, per scavalcare le disfunzioni organizzative e il caro nolo in atto nel sistema.
Tra gli addetti ai lavori, invece, si è aperto un forte confronto internazionale, che polarizza grandi gruppi di interesse, incluso enti e istituzioni, intorno alla alimentazione delle navi. Sono in gioco costosi investimenti, che non lasciano indenni i porti, chiamati a fare scelte di lungo termine a fronte di risorse scarse, per coniugare sostenibilità e continuità.
Armatori e società di noleggio perlustrano strategie energetiche, in base alle tipologie di traffico e alle disponibilità finanziarie, ben consapevoli che la riconversione energetica delle navi non è un fattore neutrale.
La partita si gioca in termini tecnologici, di disponibilità del carburante e di formazione del personale marittimo e portuale, ad una velocità che potrebbe determinare una precoce obsolescenza dei sistemi installati, dando luogo a nuove tipologie di carrette del mare.
Le scelte non riguardano solo o prevalentemente il perimetro della competizione tra società di navigazione, ma coinvolgono a pieno titolo la sicurezza e l’economicità degli approvvigionamenti e il progresso di intere regioni, e dunque gli Stati, affinché l’urgenza di emissioni zero non diventi opportunità di speculazione e di disparità delle condizioni.
La sostenibilità ambientale, economica e sociale del trasporto marittimo richiede la guida di attente politiche locali, nazionali e internazionali, e la considerazione dei governi, spesso troppo sbilanciati su mere proclamazioni degli obiettivi finali.
Al momento, è l’unico settore nell’Unione Europea ancora senza impegni specifici nella riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra, e solo recentemente il Parlamento ha dato via libera, a partire dal 2022, alla sua inclusione nel sistema di scambio delle quote di emissione di carbonio. Decisione che peraltro non trova l’appoggio ambientalista. In tutti i casi, la direzione e lo sviluppo del mix energetico di transizione verso le zero emissioni del trasporto marittimo resta materia innegabilmente geopolitica e geoeconomica, che non dovrebbe essere delegata.
Per raggiungere entro il 2030 e il 2050 gli obiettivi globali di sostenibilità ambientale, la transizione energetica del trasporto marittimo mette ai primi posti il GNL, tra le principali alternative al carbone e al petrolio. Nelle ultime settimane il suo prezzo è in corsa, spinto dalla contemporaneità di elementi contrastanti: i paesi produttori riducono l’offerta per garantire la propria sicurezza energetica, mentre il volume della domanda è in forte ascesa per sostituire rapidamente carbone e petrolio. Si aggiungono poi le conseguenze sismiche collegate all’attività estrattiva, che suggeriscono di contenere lo sfruttamento dei giacimenti, come accaduto al più grande giacimento di gas europeo di Groningen, nei Paesi Bassi, che l’anno prossimo chiuderà i battenti, lasciando in stand by solo alcuni siti.
Intanto, carenza e caro prezzo del GNL stanno portando diverse navi a doppia alimentazione ad abbandonare il gas, per navigare con il più economico bunker derivato del petrolio. Questi temi e la transizione energetica marittima saranno argomenti della 77a sessione del MEPC (Marine Environment Protection Committee) dell’IMO (International Maritime Organization), che si terrà dall’8 al 12 novembre, in concomitanza del vertice sul clima COP 26 (31 ottobre-12 novembre), la conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici.
Negli ultimi mesi, la Banca Mondiale (BM) ha formalizzato al MEPC la sua posizione al riguardo, analizzata nel rapporto sulla decarbonizzazione del trasporto marittimo pubblicato lo scorso aprile, The Role of LNG in the Transition Toward Low and Zero-Carbon Shipping. A più riprese la BM sta raccomandando ai Governi di evitare nuove politiche pubbliche di sostegno al GNL come combustibile navale, di riconsiderarne il supporto in atto e di regolamentarne le emissioni, in allineamento all’accordo di Parigi.
Sulla base dello studio, l’ammoniaca e l’idrogeno verdi sarebbero le opzioni più promettenti per il settore marittimo, considerando ciclo di vita, fattori ambientali, scalabilità, economia e implicazioni tecniche e di sicurezza, oltre il vantaggio strategico di disporre di più percorsi di produzione.
Una posizione di non poco conto, considerato il ruolo della Banca Mondiale, agenzia specializzata delle nazioni Unite per la lotta alla povertà nelle aree depresse dei paesi emergenti e in quelli in via di sviluppo, dove l’inquinamento atmosferico non solo è un grave problema in crescita, ma il cambiamento climatico provoca danni dirompenti, vasti e profondi, allargando la forbice della povertà.
Il problema principale denunciato dalla BM è la perdita accidentale di metano incombusto nell’atmosfera nelle fasi del suo ciclo di vita (estrazione, distribuzione e combustione), con effetti serra 86 volte più potenti della CO2 in 20 anni e 36 volte in 100 anni.
In sintesi, secondo la BM, è improbabile che l’uso del GNL possa contribuire a decarbonizzare il trasporto marittimo significativamente, a causa delle emissioni involontarie di gas serra che, anche in piccole dosi, riducono o nullificano i benefici attesi, a fronte di sforzi finanziari che potrebbero essere indirizzati al passaggio diretto a combustibili a zero emissioni.
A preoccupare la Banca Mondiale è l’aumento delle nuove navi alimentate a gas. Il 3,6% del tonnellaggio mercantile attualmente in circolazione è alimentato a GNL, ma sale a circa il 29% quello dei portafogli ordini (dato Clarksons). Un rischio che non si attenuerebbe con l’impiego navale di gas verdi, come il biometano liquefatto (LBM) e il metano sintetico liquefatto (LSM), che potrebbero sostituire il GNL senza modificare infrastrutture e navi. Infatti, secondo la BM, il biometano prodotto in modo sostenibile sarà poco competitivo per limitata disponibilità, mentre il metano sintetico sarà più costoso di ammoniaca o idrogeno.
Invece, il metano potrebbe svolgere un ruolo importante nella sua forma gassosa, che combinato con la tecnologia di cattura e stoccaggio del carbonio, può essere una buona materia prima per la produzione economica e su larga scala di idrogeno e ammoniaca verdi per uso navale, intanto che l’elettricità da fonti rinnovabili diventi disponibile.
Come sintetizzato da Binyam Reja, Global Practice Manager e Acting Global Director per i trasporti della BM, l’obiettivo IMO di raggiungere entro il 2030 almeno il 5% di combustibili a zero emissioni nel mix propulsivo delle navi, ha bisogno che siano aumentati rapidamente con strategie politiche che creino parità di sviluppo e utilizzo, e accelerino la transizione energetica del settore fissando un prezzo significativo del carbonio.
Una posizione così eclatante ha subito suscitato la reazione del mondo GNL, in particolare di SEA-LNG, gruppo di pressione per la promozione dell’impiego navale del GNL, partecipato da major petrolifere, produttori di motori, armatori, enti di classifica, porti.
L’associazione ha avvertito che, in attesa di combustibili futuri, è un errore non utilizzare appieno il GNL, che è sicuro, comprovato, competitivo e disponibile, e ha messo in campo la ricerca indipendente, sottoposta a revisione paritaria, 2nd Lifecycle GHG Emission Study. Lo studio condotto da Sphera, leader di software e consulenza per la gestione dei rischi, ha analizzato l’uso navale di GNL con dati primari aggiornati dei principali tipi di motori marini, delle fonti di approvvigionamento globali, degli standard ISO.
La conclusione a cui è giunto è che, rispetto ai combustibili a base di petrolio attualmente usati nel settore, il GNL riduce i gas serra fino al 23% su base Well-to-Wake (WtW), indice che paragona tra loro differenti tecnologie propulsive e i carburanti, e fino al 30% su Tank-to-Wake (TtW), indice che rileva il consumo specifico di un determinato carburante. Grazie a nuove soluzioni. Anche lo scorrimento del metano risulta al minimo, più basso di quanto spesso citano gli studi accademici e il rapporto “IMO 4th GHG”, che prevede virtualmente eliminato da ulteriori modifiche di design e algoritmi entro il 2030.
Non fare investimenti GNL nel settore navale, secondo SEA-LNG avrà il solo effetto di prolungare l’uso di combustibili a emissioni più elevate, rallentando la decarbonizzazione del trasporto marittimo, mentre sarebbero ancora lunghi i tempi prima che ammoniaca e idrogeno possano essere utilizzati in sicurezza; senza contare la loro bassa densità energetica e i massicci investimenti infrastrutturali, che dovranno essere coordinati con armatori e altre parti interessate.
In alternativa, l’impiego marittimo di GNL bio e sintetico, che un numero crescente di armatori sta implementando rassicurati dall’utilizzo delle infrastrutture esistenti, offre un processo di decarbonizzazione incrementale a basso rischio e di lungo termine con un combustibile sicuro e scalabile. La European Biogas Association prevede che l’offerta in Europa di bio-GNL, utilizzando la rete del gas, si decuplicherà entro il 2030 con costi sostenibili, mentre l’Agenzia Internazionale per l’Energia valuta che vi siano buoni margini per produrre biogas/biometano in tutto il mondo.
Seguire l’approccio teorico e prescrittivo della Banca Mondiale su quale sarà il reale potenziale dei vari combustibili alternativi nell’industria marittima globale, secondo SEA-LNG non solo soffoca l’innovazione tecnologica che può dare “risposte anche nei decenni a venire”, ma può portare il settore in un vicolo cieco.
Le istituzioni competenti devono stabilire standard e obiettivi che promuovano riduzioni reali e immediate delle emissioni di gas serra, senza prescrivere soluzioni tecnologiche specifiche, soprattutto quando non sono state testate nella realtà, è in sintesi la conclusione di SEA-LNG in risposta all’incipit della Banca Mondiale.
Ora non resta che aspettare le ricadute delle divergenze sul prossimo MEPC.