Interventi

Ddl Concorrenza e art.18 comma 7

E le chiamano riforme…

di Davide Maresca

Avvocato marittimista

La chiamano riforma o riformina. Ma non si avvicina né ad una né all’altra. Tra i vari contenuti del DDL concorrenza, si legge l’abolizione del divieto di cumulo delle concessioni si cui all’art. 18.7 per i porti di rilevanza nazionale e internazionale.

La cosa più importante da far capire alle persone è che, rispetto all’evoluzione giurisprudenziale, c’è poca differenza. Insomma, non è una riforma: è una fotografia dell’ordinamento.

Per carità, niente di nuovo: siamo abituati al gattopardismo normativo. Scrivere norme per non cambiare nulla. Ma andiamo con ordine.

Primo. Cos’è la tutela della concorrenza?
La tutela della concorrenza ha come obbiettivo di proteggere il libero sviluppo del mercato. Quando questo non è compatibile con gli obbiettivi dello Stato interviene la regolazione terza e indipendente, nella misura della proporzionalità (con provvedimenti legislativi o amministrativi che limitano la libertà delle imprese).

Secondo. Come si tutela la concorrenza nei porti italiani?
La tutela della concorrenza è già prevista nell’ordinamento dall’art. 2 e 3 della legge n. 287/1990 (e dagli art. 101 e 102 del TFUE). Queste norme vietano che un soggetto acquisisca e abusi di una posizione dominante in un porto (a pregiudizio della concorrenza).

Inoltre, è vietato che alcune imprese si accordino e adottino comportamenti coordinati che finiscano per restringere la concorrenza (tanto in via orizzontale, come ad esempio un accordo tra shipping companies sui noli, quanto in via verticale, come ad esempio un accordo tra shipping company e terminal sull’uso discriminatorio di una banchina, cioè non giustificato da una ragione economica oggettiva).

Queste condotte sono vietate anche quando sono il risultato potenziale di una concentrazione o di incroci azionari (cose che avvengono più o meno in tutti i porti).

Terzo. Chi tutela la concorrenza nei porti italiani?
La vigilanza su queste condotte è di competenza dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM). Quando la concentrazione ha dimensioni rilevanti la competenza è della Commissione europea.

Pertanto, se un’ipotetica concentrazione portasse un rischio di abuso di posizione dominante il danneggiato ha tutto il diritto di chiedere un intervento all’AGCM e al giudice ordinario (è competente la Corte d’Appello).

Quarto. Che rapporto c’è tra il 18.7 e la tutela della concorrenza nei porti?
L’art. 18.7 della l. 84/94 tutela il c.d. pluralismo/atomismo di imprese nel porto: interviene quindi a regolare la concorrenza imponendo una limitazione alle scelte delle imprese (ossia vieta di acquisire un terminal supplementare nello stesso porto).

La differenza tra tutela della concorrenza e protezione dell’atomismo delle imprese è salda in giurisprudenza e nella scienza del diritto della concorrenza (a partire dagli scritti di Posner, Fox e Hylton, poi recepiti dalla Supreme Court, dalla Corte di giustizia e poi dalla Cassazione – che hanno quindi integrato l’ordinamento).

Sia chiaro, quindi, che il 18.7 non tutela la libertà di concorrenza ma protegge l’assetto pluralistico del porto.

Quinto. Libertà di concorrenza o assetto pluralistico? Manca una scelta
Ciò che non è chiaro è se lo Stato voglia proteggere il pluralismo/atomismo delle imprese nel porto o se voglia piuttosto favorire alleanze con player internazionali a cui consentire anche di acquisire posizioni dominanti.

Propendere per un’opzione o per l’altra sarebbe una scelta di politica dei trasporti coraggiosa che oggi manca.

Il DDL concorrenza sembra suddividere la questione: i porti locali al servizio dei territori non possono essere “scalati” (quindi vengono sottoposti alla misura regolatoria) mentre i terminal nei porti nazionali e internazionali sono “liberi” di acquisire posizioni dominanti (ovviamente non sono liberi di abusarne).

Sesto. Come scegliere?
Secondo alcuni, la scelta dovrebbe basarsi su un approccio comparatistico: negli altri paesi la limitazione del 18.7 non è presente per cui l’Italia deve garantire alle grandi imprese il medesimo livello di attrattività (ed è anche vero che la struttura micro-imprenditoriale italiana non è replicata altrove).

Secondo altri, “la scelta di politica dei trasporti” potrebbe essere basata su un approccio econometrico/di mercato. La differenza dimensionale dei porti tra l’Italia e gli altri Paesi (cioè la scarsità di banchine in ciascun porto) giustificherebbe il divieto di cumulo in tutti i porti (anche internazionali): con poche banchine a disposizione un operatore che ne ha due rischia di prendere troppo facilmente il sopravvento.

Se così è (e solo uno studio di mercato oggettivo può dimostrarlo), allora la regolazione proporzionata (attraverso il 18.7, ma applicato bene e da parte di un Autorità terza) è legittima.

Se così non è (cioè se non c’è scarsità di terminal rispetto agli altri porti concorrenti in Europa), allora il divieto di cumulo di concessioni rischia di diventare addirittura incompatibile con le norme europee in materia di mercato interno.

Settimo. Quali sono le conseguenze istituzionali?
Quando anche si decidesse per un’opzione o per l’altra, occorrerebbe renderla coerente rispetto alle competenze delle Autorità coinvolte.

L’AGCM, come detto, si occupa di concorrenza – nella sua accezione di libertà e non di limitazione (per cui pare fuori luogo il recente intervento in materia).

L’Autorità di sistema portuale si occupa di amministrazione ed è parte dei rapporti concessori per cui, evidentemente (essendone parte), non può garantire terzietà (con conseguente imprevedibilità dell’azione amministrativa). Lo stesso dicasi per il Ministero Vigilante.

L’Autorità di Regolazione dei Trasporti, a quanto risulta, oggi non è affidataria di questa specifica competenza.

Insomma una scelta o l’altra dovrebbe anche darsi carico di fare chiarezza sulla ripartizione delle competenze tra le (troppe) Autorità coinvolte.

In conclusione…
L’intervento del DDL concorrenza, in questa materia, pare poco meditato (sembra fare un mero copia e incolla della sollecitazione dell’AGCM) ed è ancora “zoppo” tanto nel merito quanto nella forma istituzionale.

Si tratta di un’occasione mancata per la quale c’è ancora spazio di rimediare (è solo un Disegno di legge con ampio spazio di emendamenti). Basta fare una scelta ponderata sul tipo di imprese che ci si prefigge di attrarre nei porti italiani e su come garantire loro certezza del diritto e crescita.

Torna su