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USA, il caso del Container Excess Dwell Fee

Le tasse sono una cosa bellissima. O no?

di Marco Casale

L’interruzione della catena di approvvigionamento e i problemi di congestione che hanno colpito i principali porti statunitensi, a cominciare da quelli della California meridionale, stanno causando sfide significative per il settore.

A Los Angeles e Long Beach, dove attracca circa il 40% dei contenitori diretti negli Stati Uniti,  sono ancora più di 80 le navi parcheggiate nella Baia di San Pedro in attesa di essere lavorate. L’ingolfamento a terra ha spinto lo stesso presidente Joe Biden a chiedere un’intensificazione dei ritmi di lavoro, con turni anche 24 ore su 24 e 7 giorni su 7.

Una mossa, questa, che ha cominciato a dare i propri frutti se è vero che ad oggi il numero di container in sosta sulle banchine da oltre nove giorni è calato di oltre il 20%.

Del pari, si attendono risvolti positivi dalla prossima applicazione del tanto discusso Container Excess Dwell Fee, prevista per il 15 novembre. A fine ottobre i porti di Los Angeles e Long Beach hanno infatti annunciato la decisione di imporre ai big carrier sanzioni pecuniarie per i container di importazione che sostino troppo a lungo nei terminal marittimi.

Nei fatti vengono addebitati 100 dollari al giorno per ogni container che rimanga a prendere la polvere nei piazzali per più di nove giorni, se è previsto venga trasferito via camion, o per più di sei giorni se si sposta su rotaia. I vettori marittimi devono quindi pagare un daily rate di ulteriori 100 dollari a container per ogni giorno di sosta ulteriore rispetto alle soglie minime previste. Quindi, verranno pagati cento dollari per un giorno di ritardo, 200 per due, e così via. Una settimana di ritardo porta in dote una multa di 2800 dollari a container.

Come dichiarato recentemente dal chief executive del porto di Los Angeles, Gene Seroka, «il nostro obiettivo è vedere miglioramenti significativi nelle nostre banchine in modo da non dover multare nessuno».

Attualmente, il 33% del carico giacente nei sei terminal marittimi del porto rimane in sosta per 13 giorni o più prima di essere inoltrato a destinazione, un altro 11,36% si ferma in porto per un periodo compreso tra i nove e i 12 giorni.

Si comprendono, quindi, le ragioni della nuova tassa. Anche se rimangono seri dubbi su chi debba pagarla veramente. C’è chi teme infatti che gli extra costi dell’inefficienza vengano scaricati direttamente sugli importatori.

Anzi. Più che di un timore si tratta di una certezza. Non è un caso che in una nota stampa, la compagnia di navigazione Hapag-Lloyd abbia precisato che “This is a port authority announced and levied charge which, as a pass-through charge, will be for the account of the merchant and any amount owed will need to be paid prior to container release”.

Per il vettore si tratta, insomma, di un addebito annunciato e riscosso dall’autorità portuale che “sarà a carico del commerciante e qualsiasi importo dovuto dovrà essere pagato prima del rilascio del container”.

Anche Maersk, in un recente customer advisory ha dichiarato di aspettarsi che l’extra tariffa venga addebitata direttamente ai clienti. “Customers should be prepared for this surcharge to be applied on the same timeline as the Ports have announced” si legge nella nota.

Non si tratta di una questione di poco conto. E, a ben vedere, è questo il pomo della discordia che rischia di rendere insanabile la frattura tra due importanti associazioni di categoria. Da una parte, il World Shipping Council, che agisce in rappresentanza degli armatori, dall’altra, la National Industrial Transportation League, la più grande associazione operativa nel trasporto merci.

LA NITL, pur approvando le ragioni della iniziativa messa in campo dalle istituzioni locali, ritiene che il Container Excess Dwell Fee finisca con l’aggravare la situazione di enorme sofferenza in cui si trovano oggi i ricevitori, già oggi costretti a dover pagare i cosiddetti dentention and demurrage fees per ragioni spesso indipendenti dalla propria volontà.

Nati per garantire ai carrier un rapido turnaround del proprio equipment,  i D&D sono progressivamente aumentati in misura non sempre giustificabili, tanto da spingere i regolatori americani ad avviare un’investigazione che ha portato alla stesura di un rapporto (Final FF28 report).

Ora, questa nuova tariffa rischia di aggiungere altra benzina al fuoco. Tanto più che non tutte le cause alla base del rallentamento nell’inoltro dei carichi sono ascrivibili alla responsabilità diretta degli importers. La carenza di camion e di chassis, la mancanza di spazio nei magazzini, la mancanza di capacità dei gate ferroviari, la mancanza di capacità negli impianti di trasbordo, sono tutti elementi che contribuiscono a congestionare un porto e che non sono sempre gestibili.

Per la NITL scaricare la tassa sugli importatori non farebbe altro che scoraggiare i vettori oceanici dal modificare le proprie politiche di marketing per alleviare la congestione.

Per il World Shipping Council la posizione critica assunta dalla NITL è invece pretestuosa in quanto presuppone che il controllo sui carichi spetti principalmente ai vettori. E’ vero il contrario: «Nella maggior parte dei casi – afferma il ceo dell’Associazione, John Butler – l’organizzazione del ritiro e del trasporto è di competenza degli importatori. In altre parole, si tratta di un carico per il quale la responsabilità del vettore marittimo termina quando lo stesso viene scaricato dalla nave».

In sostanza, addebitare al vettore tale responsabilità è secondo il WSC incoerente con le ragioni stesse della nuova tassa anti-ingorgo.

Difficile prevedere come si concluderà il confronto. Quel che è certo è che il WSC ha investito direttamente la Federal Maritime Commission della cosa, chiedendo ai regolatori di astenersi dall’intraprendere qualsiasi decisione sulla nuova tassa fintanto che non venga realmente applicata.

«Non dobbiamo sottovalutare quanto sta avvenendo negli Stati Uniti» ha dichiarato a Port News il direttore generale di Spediporto, Giampaolo Botta. «Spesso i porti americani  hanno anticipato criticità che si sono poi  manifestate anche in Europa, come è stato, ad esempio, per il caso della carenza di autisti. Questo fenomeno si manifestò per la prima volta negli USA per poi diventare oggi un problema comune in tutto il mercato europeo».

Secondo Botta, l’introduzione del Container Excess Dwell Fee rischia di innescare una reazione a catena da parte degli armatori, i quali «certamente, aumenteranno gli oneri a carico della merce e dunque alla fine degli spedizionieri».

Il dg di Spediporto è lapidario: «Non si può escludere la possibilità che tali sovraccosti vadano infine ad avere un impatto reale sul portafoglio dei risparmiatori. L’aumento di tutte le materie prime si tradurrà, ben presto, in un sostanziale aumento dei prezzi al consumo; a quel punto la questione diventerà politica e da quel momento inizierà un’altra storia».

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