Stamani, il mondo si è svegliato con un sussulto dopo che nella notte il presidente russo Putin ha annunciato l’avvio di una “operazione militare speciale” nel Donbass. Non una invasione in scala ridotta: le truppe sovietiche sono entrate sia dal confine nord (Bielorussia) che dal Sud (Crimea), con attacchi mirati nei porti di Mariupol e Odessa.
«La situazione si è fatta incandescente. Ho lasciato Kiev poche ore fa e mai avrei immaginato una simile esclation» ha dichiarato a Port News Augusto Cosulich, numero uno dell’agenzia marittima Fratelli Cosulich, gruppo leader in Italia per i servizi allo shipping, con duemila dipendenti e un fatturato complessivo che sfiora il miliardo e mezzo di euro.
Il manager ha rapporti di lunga data con l’Ucraina e, in particolare, con il gruppo locale dell’acciaio, Metinvest, di cui è partner logistico per italia. «Importiamo semilavorati siderurgici prodotti a Mariupol, sul mar d’Azov. Con tre navi noleggiate da Metinvest portiamo le bramme sino a Monfalcone. Lo scoppio della guerra potrebbe chiaramente avere delle ripercussioni su questo come su altri traffici».
Secondo Lloyd’s List Intelligence, ci sono attualmente 116 navi in coda nell’insenatura meridionale dello Stretto di Kerch, anello di congiunzione tra il Mar d’Azov e il Mar Nero: 39 sono product tanker e 33 bulk carrier.
Le compagnie di navigazione stanno di fatto cancellando i viaggi da e per l’Ucraina. Maersk, ad esempio, ha deciso di sospendere temporaneamente il servizio di linea che scala i porti di Chornomorsk and Yuzhny. Anche Hapag Lloyd, che scala il porto di Odessa con il suo Black Sea – Mediterranean Express Service (BMX), potrebbe presto rivedere il servizio, optando per porti alternativi a quello ucraino.
Ma le compagnie di navigazione non sono le uniche a doversi confrontare con le conseguenze di una guerra che lo stesso presidente americano, Joe Biden, ha definito ingiustifiata e volontariamente provocata. Come spesso accade in questi casi, a rischiare di dover pagare lo scotto maggiore sono i lavoratori del mare.
Di sicuro, sono peggiorate le condizioni di tutti quei marittimi ucraini che a causa dello stop al traffico aero per Kiev non possono partire o tornare agli affetti delle proprie famiglie. L’International Chamber of Shipping, che rappresenta l’80% della flotta mercantile mondiale, afferma che su una forza lavoro complessiva di 1,89 milioni di marittimi, sono 76.442 quelli ucraini, il 4% del totale. Queste persone rischiano di non poter salire e sbarcare liberamente dalle navi in tutto il mondo. Con i voli cancellati sarà, dunque, sempre più difficile assicurare il cambio degli equipaggi.
«Questa guerra non serve a nessuno. L’unico effetto che ha avuto per ora è stato quello di provocare un terremoto sui mercati finanziari mondiali» ha concluso Cosulich.
Il prezzo del gas, intanto, è già schizzato di oltre il 40 per cento, raggiungendo sul mercato di Amsterdam – benchmark del metano per l’Europa continentale – quota 125 euro a megawattora, salvo poi scendere intorno ai 115 euro mw/h.
«Sono gli stessi livelli che abbiamo già visto a Dicembre. Non si tratta di una novità. I mercati si sono dimostrati lungimiranti mettendo già nel conto, mesi fa, la possibilità di una escalation della tensione in Ucraina» ha spiegato il presidente di Nomisma Energia, Davide Tabarelli.
«I flussi di approvigionamento del gas dalla Russia sono però al momento regolari. Chiaramente, la situazione potrebbe cambiare se l’UE e, in particolare, la Germania, dovesse decidere di bloccare il gasodotto Nord Stream 2».
Nel lungo periodo, la dipendenza energetica dalla Russia rimane per Tabarelli un problema gravoso che deve essere affrontato quanto prima.
Il nostro Paese importa il 43 per cento del gas dalla Russia e lo utilizza per produrre circa il 60 per cento dell’elettricità. Questo è un dato di fatto: «l’Italia e L’Europa stanno pagando il prezzo di un errore di fondo: quello di affidarsi alla Russia per garantirsi il proprio benessere economico» ha sottolineato Tabarelli.
«E’ arrivata l’ora di sviluppare una politica energetica seria. Dobbiamo diversificare. Puntare non soltanto sulle rinnovabili ma anche sul carbone. In Italia dovremmo pensare alla possibilità di aprire le centrali a carbone, come per altro sta pensando di fare la Germania. Dobbiamo mettere in conto che la situazione energetica potrebbe anche peggiorare».