In questi giorni, mentre l’attenzione di tutti è concentrata sulla drammatica crisi ucraina, e sulle implicazioni che essa comporterà per l’evoluzione degli assetti geopolitici nel mondo, la Casa Bianca è intervenuta con decisione sulla organizzazione e sulla struttura del mercato marittimo internazionale, in particolare nel traffico transoceanico dei contenitori (leggi qui).
L’amministrazione Biden-Harris ha puntato i riflettori sul consolidamento in senso oligopolistico delle grandi compagnie marittime, che prima, per reagire alla crisi del 2007, si sono strutturate in tre Alleanze con l’obiettivo di razionalizzare l’offerta e le rotte al fine di ottimizzare i costi di produzione, e poi, a partire dal 2020, hanno iniziato una strategia di aumento radicale dei prezzi, condizionando la tiepida ripresa del post-pandemia e determinando in parte la ripresa dell’inflazione su scala internazionale.
Le tre Alleanze non si sono limitate a questo comportamento tipico degli oligopolisti: hanno anche consolidato una strategia di allargamento del potere di mercato, mediante una serie di acquisizioni nei settori della logistica e del trasporto, ma integrando anche la filiera nel comparto portuale, mediante una presenza sempre più visibile nel governo diretto dei terminali marittimi.
A questo schema di organizzazione, l’Europa ha risposto con una regolazione debole, prima concedendo e poi rinnovando la exemption rule, con la quale sono state autorizzate le Alleanze, a cui sono state anche concesse poderose agevolazioni fiscali.
Perché gli Stati Uniti si stanno muovendo in direzione opposta? Essenzialmente si possono individuare due ragioni. La prima risiede nel fatto che toccare gli oligopolisti marittimi per gli americani è più semplice, dal momento che non esistono interessi economici statunitensi nel settore: da diversi decenni le compagnie armatoriali nel comparto del container non sono di proprietà nordamericana. L’ultima azienda era stata Sealand, acquisita da tempo da Maersk.
Colpire attraverso la regolamentazione una industria nella quale non sono presenti interessi Usa è più semplice rispetto alla situazione di una Europa che è molto presente nel settore.
Esiste però un’altra ragione, sulla quale occorre fare una riflessione.
Quando, alla fine del diciannovesimo secolo, l’oligopolio ferroviario stava strangolando con prezzi predatori gli agricoltori americani, a seguito di una discussione animata nacque, nel 1890, lo Sherman Act, la prima legge antitrust dell’economia capitalistica.
Anche in quella fase storica si era formata una serie di strutture monopolistiche ed oligopolistiche, non solo nel settore del trasporto, che rischiava di rallentare la crescita economica diffusa e di arricchire solo le tasche dei grandi capitalisti, i robber barons.
A partire dagli anni Ottanta del ventesimo secolo, e sino ad oggi, l’economia mondiale è stata attraversata da una ondata di verticalizzazione dei poteri economici, mediante processi di fusione e di concentrazione che riguardano non solo l’economia marittima bensì l’intera organizzazione capitalistica.
Nel settore dei trasporti è nato quello che definisco, in un mio libro di prossima pubblicazione, il nuovo capitalismo della mobilità.
Le connessioni sono state una delle levatrici della globalizzazione, ed ora, in una ondata di ritorno particolarmente massiccia, rischiano di essere lo strumento di un potere di mercato fortemente verticalizzato, capace di generare, per i padroni del vapore, una elevata intensità di profitti, a danno del commercio internazionale e dei consumatori.
Per questi motivi, la presa di posizione del governo statunitense è particolarmente rilevante. Non è in questione solo l’assetto del mercato transoceanico dei contenitori, ma il ruolo della regolazione antitrust e l’eccesso di concentrazione che si è determinato negli ultimi quattro decenni in tutti i principali mercati.
In questi giorni parliamo spesso degli oligarchi russi, e del ruolo che possono giocare nella crisi ucraina. Dovremmo allargare l’orizzonte per vedere più in generale quanto è cresciuta l’influenza degli oligarchi del nuovo capitalismo. Tagliare le unghie all’eccesso del potere di mercato è nell’interesse della ripresa economica, e forse anche della pace.