«Innovare per innovare non serve a niente. Qualsiasi innovazione deve rispondere alle esigenze di mercato e prendere le mosse da un’analisi contestuale sia delle effettive criticità che delle eventuali ricadute sociali».
Il pragmatico presidente della Compagnia Portuale di Civitavecchia non è tipo da perdersi in riflessioni dottorali sulla legge 84/94 e sulle questioni aperte alle risposte giurisprudenziali in tema di Governance.
Abituato com’è a misurare le persone sulla base dei risultati raggiunti e a fare economia di parole e atteggiamenti – avendo avuto peraltro come maestro di vita uno come Enrico Luciani, cui “non gliele andavi certo a dire”-, Patrizio Scilipoti non ha paura di esprimere il proprio pensiero senza edulcorazioni e mezzi termini, ritenendo del tutto evanescenti gli ismi contemporanei, che spesso confondono la realtà con l’utopia.
«Il modello di organizzazione del lavoro portuale va sempre calato nel contesto preciso di riferimento» dice. L’articolo 17? «E’ lo strumento al servizio dell’efficienza operativa di un porto e, come tutti gli altri strumenti, non è né buono né cattivo. Tutto dipende da come lo usi. In alcuni porti funziona di più, in altri meno».
Assertivo, a tratti lapidario, con una parlata appena addolcita da una simpatica inflessione romanesca, Scilipoti non si nasconde dietro a un dito, ammette le difficoltà di un momento che non appare molto esaltante per il Sistema portuale italiano: «A Civitavecchia – dichiara – non abbiamo ancora superato del tutto i postumi della sbornia pandemica. In Compagnia Portuale, ad esempio, si fa ancora utilizzo di IMA».
Il n.1 di CPC tiene però a ribadire come, anche nel bel mezzo della crisi pandemica («quando in porto non c’erano nemmeno più i collegamenti con la Sardegna. Quando era già tanto se ti chiamavano a lavorare 10 volte al mese»), non sia mai venuta meno quella concordia, quel patto, che ha consentito agli operatori portuali, siano essi art.16 puri che articoli 18, ovvero terminalisti, di lavorare in piena sintonia con la Compagnia.
«Nonostante le difficoltà, il porto sta cercando di reagire – spiega -, si cominciano a vedere delle schiarite all’orizzonte e l’attività programmatoria dell’Autorità di Sistema Portuale sta ridefinendo i confini operativi di uno scalo fino ad oggi focalizzato quasi unicamente sul traffico crocieristico. La politica di Pino Musolino dovrebbe portare i suoi primi frutti ma va anche detto che il presidente della Port Authority ha trovato a Civitavecchia un clima molto collaborativo, con grande credito, da parte di tutte le imprese portuali».
In fondo, il ragionamento di Scilipoti è semplice: «Se in altri porti gli art. 17 hanno difficoltà a integrarsi nel Sistema è perché c’è qualcuno che non vuole stare alle regole. C’è, ad esempio, qualche concessionario, o impresa portuale autorizzata allo svolgimento dei servizi e delle operazioni portuali, che ha assunto più di quanto avrebbe dovuto».
Le conseguenze sono ovvie: «Gli art. 16 e 18 sovradimensionati creano squilibri, impattando quindi anche sulla capacità di risposta dell’Agenzia o impresa di Lavoro Portuale, col rischio di renderla inutile».
Nel porto della Capitale, invece, la situazione è ben diversa: «Da noi nessuno si sognerebbe di assumere più del dovuto. Il lavoro dell’art. 17 e le sue professionalità sono riconosciute e rispettate. A ognuno il proprio mestiere».
Certo, Scilipoti è consapevole dei cambiamenti in atto: «Le sfide aperte dalla sostenibilità ambientale, l’innovazione tecnologica con i processi di automazione nei terminal e, più di tutti, i processi di integrazione verticale nella logistica, stanno impattando in modo a volte drammatico sul modello di organizzazione del lavoro» afferma.
«Sta a noi cercare di farci trovare preparati e, sotto questo punto di vista, la formazione gioca un ruolo fondamentale» aggiunge. «Quello che, però, non posso accettare è che qualcuno voglia approfittarsi della situazione per smantellare i pilastri del lavoro in porto».
Il n.1 della CPC ammette di guardare con preoccupazione agli emendamenti al Ddl Concorrenza che i senatori di diverse forze politiche hanno voluto presentare nei giorni scorsi prima della discussione finale. Apprezza il fatto che diversi partiti abbiano deciso di fare marcia indietro sull’abrogazione del divieto di interscambio di manodopera tra una concessione e l’altra, ma non si sente affatto tranquillo: «Le proposte emendative sullo scambio di manodopera non sono dovute a una iniziativa estemporanea di qualche Senatore – dice -, dietro c’è uno schema preciso e ripetitivo, un attacco diretto ai lavoratori portuali e, in particolare, agli art.17».
Scilipoti azzarda un’ipotesi su chi ci sia dietro a questi attacchi: «Certi armatori hanno oggi un potere enorme. Grazie ai processi di integrazione verticale, controllano direttamente o indirettamente le attività terminalistiche, quelle di spedizione e, ora, anche quelle di logistica aerea. Questo è un dato di fatto».
E per il presidente della Compagnia è anche un dato di fatto che «gli art. 17 rappresentano oggi un intralcio ai disegni egemonici dei big carrier. Se io fossi un armatore, avessi il mio terminal, la mia impresa portuale, e avessi, anche, la possibilità di utilizzare in autoproduzione i marittimi, perché mai dovrei pagare i pool di manodopera?».
Il presidente della Compagnia è chiaro: «Chi ha orchestrato questo attacco, l’ennesimo, sa quello che vuole. Quello che mi preoccupa è che certi partiti prestino il fianco a simili iniziative, peraltro, in un momento come questo, di assoluta precarietà e difficoltà economica. Di fatto, c’è qualcuno che prende ordini dal potente di turno. Bene ha fatto, allora, il segretario generale della Filt-Cgil, Natale Colombo, a minacciare uno sciopero nazionale. Se qualcuno calpesta i nostri diritti, abbiamo il dovere di reagire. Questa continua minaccia nei nostri confronti deve finire»