Per raggiungere gli obiettivi della neutralità climatica entro il 2050, e produrre, quindi, i combustibili green da utilizzare per le navi, il mondo dello shipping avrà bisogno di un quantitativo di forniture elettrica pari a tutto quello che è stato prodotto a livello mondiale in un anno, circa 3000 TWh.
È l’ultimo report dell’International Chamber of Shipping a rappresentare in modo plastico la fame di energia del settore, perché «l’idrogeno, il metanolo, e tutti i nuovi green fuel, non sarebbero veramente green se non venissero prodotti da fonti rinnovabili».
Alexio Picco, managing director del gruppo Circle e responsabile della Business Unit che si occupa di innovazione, lo afferma con la stessa sicumera con cui un matematico snocciola i più famosi teoremi di euclide.
D’altronde, il rapporto evidenzia come il percorso verso il Net Zero sia tutt’altro che privo di ostacoli. «Sarà necessaria sempre più potenza energetica per decarbonizzare il settore e serviranno anche a livello governativo non pochi eco-incentivi per favorire la produzione di energia pulita» afferma Picco.
Da questo punto di vista, la normativa sulle comunità energetiche, il dlgs n.199 del 2001, «ha permesso al nostro Paese di realizzare un modello innovativo di gestione dell’energia già ampiamente diffuso in Nord Europa, favorendo la creazione di sistemi di produzione, autoconsumo e condivisione del fabbisogno energetico tramite forme di associazioni composte da enti pubblici locali, aziende, attività commerciali o cittadini privati».
Un modello virtuoso che solo recentemente è stato esteso anche alle Autorità di Sistema Portuali, grazie al Decreto Aiuti e alla previsione che permette queste ultime di costituire comunità energetiche rinnovabili in ambito portuale.
Per Picco non si tratta di una soluzione malpensata. Tutt’altro: «Condivido l’entusiasmo del presidente di Assoporti, Rodolfo Giampieri: i porti sono oggi sempre di più i protagonisti della rivoluzione green in ambito trasportistico. Non sono più esclusivamente luoghi di movimentazione, imbarco e sbarco delle merci, ma veri e propri hub energetici, cui oggi viene data la possibilità di realizzare forme di collaborazione incentrate su un sistema di scambio locale dell’energia, per favorirne la gestione congiunta, lo sviluppo sostenibile e ridurre la dipendenza dal sistema elettrico nazionale».
Si tratta di una novità importante. E non è un caso che vada in porto proprio oggi. «Sono vent’anni che mi occupo di innovazione e ambiente, ma è la prima volta che viene a definirsi un contesto così favorevole per la transizione energetica. Il Green Deal e le linee guida sulla tassonomia sono ormai due colonne portanti dell’approccio dell’Unione Europea al tema della sostenibilità ambientale».
E i porti sono al centro di questa svolta. «Sono diventati un luogo di attrazione per i grandi player energetici, per via della loro prossimità sia alle fonti rinnovabili (penso al tema dell’off shore eolico) che alle centrali elettriche dismesse e da convertire o già convertite, come sta capitando alla Spezia».
Quello delle community energetiche è chiaramente una freccia in più che le Port Authority possono utilizzare per guidare la transizione verso il Net Zero. «L’adesione a consorzi di acquisto per le forniture di energia elettrica da fonti rinnovabili ai soggetti insistenti nei porti e le ipotesi di realizzazione di nuove rete di distribuzione elettrica portuale, sono alcuni degli obiettivi che le Autorità di Sistema Portuali potrebbero riuscire a raggiungere più efficacemente grazie alla costituzione delle comunità energetiche».
Anche il cold ironing rimane per Picco una tecnologia ancora valida, anche se in Italia il suo sviluppo è sempre stato critico. Il direttore generale di Circle Innovazione racconta come la sua società stia attualmente guidando il progetto EALING con un consorzio di 17 porti europei attraverso il quale promuovere la realizzazione armonica dei sistemi di alimentazione elettrica da banchina. «Sappiamo quindi quali e quante potenzialità abbia questo strumento. Nel nostro Paese è mancata, però, almeno sino ad oggi, una regia chiara sul suo sviluppo. Per quel che ne so, stiamo ancora aspettando il Piano Nazionale sul Cold Ironing».
Non mancano, invece, le risorse a valere sul PNRR e sul fondo complementare, «ma non è stata del tutto chiarita la logica di distribuzione dei fondi in relazione ai fabbisogni e alle potenzialità che è in grado di esprimere ciascun sistema portuale. Quel che mi verrebbe naturale da dire è che l’onshore power supply per le navi non può essere sviluppato in tutti i terminal».
E poi c’è per Picco la necessità del coinvolgimento degli armatori: «Prima di investire ingenti risorse negli impianti di erogazione dell’elettricità da terra, occorrerebbe capire, anche a livello di singolo sistema portuale, quali e quanti armatori siano disposti ad utilizzarlo. Il cold ironing è inutile senza il necessario adeguamento delle navi all’utilizzo della tecnologia. Da questo punto di vista, occorrerebbe che i progetti di elettrificazione dei porti fossero preceduti dalla stipula di accordi con le parti armatoriali, come avviene in altri contesti».
Se l’elettrificazione delle banchine presenta diverse criticità, l’uso esteso dell’idrogeno potrebbe invece rappresentare un passo fondamentale verso un’Europa climaticamente neutra. «La strategia di decarbonizzazione dell’Europa alle prese con il suo Green Deal, ma anche con il rilancio dell’economia post-pandemia, sembra voler affidare all’idrogeno un ruolo chiave» sottolinea Picco. «Va però detto che gli investimenti necessari in questo settore sono enormi. Forse abbiamo voluto mettere da parte con troppa fretta il GNL, finito nel dimenticatoio, anche a livello di finanziamenti europei».