Entro la fine dell’anno la Commissione Europea dovrebbe riaprire il procedimento volto a valutare se concedere o meno il rinnovo dell’esenzione dalle ordinarie regole di concorrenza a favore degli accordi di consorzio fra Compagnie di Navigazione, la cui scadenza è prevista al 25 aprile 2020.
Dietro le quinte è già iniziato a Bruxelles un serrato confronto fra gli operatori: da un lato, le rappresentanze armatoriali hanno già richiesto ufficialmente di rinnovare il meccanismo di esenzione per ulteriori cinque anni; altre categorie di stakeholder del trasporto internazionale (tra queste terminalisti e spedizionieri) hanno invece espresso la loro perplessità, sino ad assumere in alcuni casi posizioni apertamente contrarie, ritenendo le esenzioni per categoria nello shipping un “aiuto indebito” ai grandi liner. Al netto dei contrasti di categoria, la situazione appare complessa e certamente refrattaria a soluzioni tranchant.
Secondo i meccanismi previsti dal diritto della concorrenza agli articoli 101, comma 3, e 103 del Trattamento di Funzionamento dell’Unione Europea (“TFUE”), la Commissione Europea può autorizzare con Regolamento (c.d. regolamenti di “esenzione”) alcune categorie di accordi tra imprese in rapporto di concorrenza, qualora tali accordi contribuiscano a migliorare la produzione o la distribuzione dei prodotti o a promuovere il progresso tecnico o economico, nella misura in cui venga riservata ai terzi utilizzatori una congrua parte dell’utile che ne deriva.
Con il Regolamento (CE) 906/2009, la Commissione ha valutato in maniera positiva questi accordi tra i vettori marittimi (in precedenza vigeva il sistema delle conference), ponendo l’accento sugli ingenti investimenti da sostenere per la realizzazione delle nuove navi, i cui costi venivano ritenuti insostenibili per il singolo operatore, nonché sul fatto che gli accordi di consorzio permettono di realizzare economie di scala con migliore utilizzo dello spazio delle navi, migliore programmazione e personalizzazione dei servizi, il tutto anche a vantaggio dell’utenza finale.
Risultano così oggi esentate quelle operazioni, a prescindere dagli inquadramenti formali, relative all’esercizio in comune di servizi di trasporto marittimo di linea, come il coordinamento e la determinazione congiunta dei porti di scalo, o allo scambio, vendita o nolo incrociato di slot sulle navi, al pooling di navi, nonché l’aggiustamento di capacità in relazione alla fluttuazione della domanda e anche l’esercizio in comune dei terminal portuali, con servizi annessi, a condizione che la quota di mercato congiunta dei membri del consorzio sul mercato rilevante su cui esso opera non superi il 30 %.
Nel Regolamento (CE) 906/2009 non vi è alcuna traccia della nozione di “alleanza” tra operatori, rapporto atipico che al più assomma e accorpa vari accordi di consorzio sopra delineati. Ricordo a tale proposito che al momento della loro fusione, avvenuta nel 2017, Hapag-Lloyd e UASC erano parti di ben 19 differenti accordi di consorzio.
In termini giuridici una eventuale revoca dell’attuale esenzione non comporterebbe automaticamente il divieto degli accordi di consorzio ma imporrebbe a ciascun operatore, posto che molti degli assunti che giustificavano le esenzioni sono comunque ancora presenti, di assumersi gli oneri (in parte, anche economici) di un’autovalutazione, basata sulle ordinarie Linee Guida in materia di accordi orizzontali e di applicazione dell’art. 101.3 TFUE.
Dal momento che tali Linee Guida non sono così chiare su queste tipologie di accordi, questo processo di autovalutazione secondo le regole “ordinarie” potrebbe determinare la revisione delle attuali alleanze e/o degli accordi di gestione di stiva, chiaramente in senso disincentivante rispetto ad oggi.
Estremizzando, si potrebbe così arrivare anche alla fine delle alleanze o almeno di alcune, così mettendo in difficoltà più di un operatore. La maggiore difficoltà a riempire le stive determinerebbe un effetto di accelerazione di alcune uscite dal mercato (le quali avverrebbero anche a esenzione confermata, anche se forse più lentamente), con effetti di natura anche sociale.
Un’alternativa potrebbe essere quella di prevedere la puntuale modifica di alcuni dei perimetri di ammissibilità degli accordi, per andare a mitigare la pressione commerciale nei confronti degli altri operatori della catena logistica (ad esempio, introducendo limitazioni in tema di joint procurement).
La terza è quella di lasciare le cose come sono, lasciando che le compagnie di navigazione continuino in autonomia l’aggressivo processo di consolidamento in atto.
In ogni caso, qualunque sia l’intervento normativo (compreso il mero rinnovo), questo dovrà essere calato attentamente in un contesto multi-giurisdizionale, in coordinamento con quanto avviene (almeno) negli Stati Uniti e la Cina, al fine di evitare situazioni di difformità che potrebbero determinare una minore competitività dell’intero sistema commerciale europeo.
Nella turbinosa situazione attuale del mercato, a mio avviso occorre quindi adottare un atteggiamento di estrema prudenza, se non proprio di attesa (la scadenza del 2020 consente ancora qualche mese di valutazione), senza tuttavia dimenticare che abbiamo già avuto modo di verificare come in questo settore la mancanza di regolazione non abbia sempre portato buoni frutti.
Oltre ad aver già costretto gli stessi Stati e gli altri operatori della catena di trasporto a modificare in fretta le caratteristiche (anche fisiche) degli scali e delle modalità di accesso e di riconsegna della merce, il gigantismo navale intrapreso dai liner ha creato situazioni di potenziale default finanziario di sistema. Intervenire in questo settore impone quindi a chiunque l’esercizio della massima prudenza.