«In alcuni settori l’Italia è chiamata a recuperare un divario infrastrutturale importante per poter continuare a competere con gli altri paesi avanzati». Parte da qui l’intervista rilasciata a Port News da Carlo Lamari.
Mentre l’Italia si trova a dover affrontare i marosi di una crisi politica non prevista, scoppiata in mezzo ad altre tre crisi interconnesse, per l’invasione in Ucraina, per l’energia e per l’inflazione, il Responsabile Infrastrutture di Cassa Depositi e Prestiti (CDP) si sofferma sui ritardi storici accumulati dal Paese nel corso degli anni e sulle sfide da superare per il prossimo immediato futuro.
Le infrastrutture rappresentano un target primario del Green New Deal e in Italia ci sono da recuperare ritardi storici: in questo ambito la sostenibilità è diventata un elemento chiave. A vostro parere cosa significa oggi investire nella sostenibilità delle infrastrutture?
In alcuni settori l’Italia è chiamata a recuperare un divario infrastrutturale importante per poter continuare a competere con gli altri paesi avanzati. Divario che riguarda sia la qualità delle infrastrutture sia l’innovazione, aspetto cruciale per, mi lasci dire ricorrendo ad un ossimoro, non guardare al futuro dallo specchietto retrovisore.
Negli ultimi dieci anni, in Italia abbiamo assistito ad una riduzione della spesa pubblica per investimenti particolarmente significativa passando da circa il 4,6% al 2,9% per cento del PIL. Complice la crisi dei mercati finanziari prima e del debito sovrano poi che hanno segnato la prima parte degli anni 2000, una dinamica simile ha contraddistinto anche altre economie avanzate. Questa riduzione di risorse ha contribuito ad allargare il divario rispetto agli altri paesi europei. In tale contesto, i fondi Next Generation EU e il Green New Deal vanno considerati l’occasione da non perdere per colmare questo divario e i limiti strutturali da esso generati negli anni e dotare l’Italia di infrastrutture adeguate a rafforzarne il posizionamento economico su mercati internazionali contraddistinti da competitività crescente.
L’azione di CDP è oggi guidata da criteri di selettività, con grande attenzione ai principi di sostenibilità ESG (Environmental, Social, Governance). Per CDP oggi investire nella sostenibilità delle infrastrutture significa sostenere quei progetti che generano un impatto tangibile, per esempio in termini di riduzione di Co2, o trasferimento modale verso mezzi di trasposto meno inquinanti, oppure un uso più efficiente di risorse scarse come l’acqua. Nel settore dei porti, ad esempio, una rete logistica moderna e adeguatamente integrata sarebbe sostenibile oltreché strategica nella lotta all’inquinamento e al cambiamento climatico. Si pensi al ruolo che hanno in questo senso le cosiddette Autostrade del Mare, che favoriscono il decongestionamento delle arterie stradali.
Ulteriori progetti sostenibili potrebbero riguardare l’ammodernamento delle infrastrutture portuali o il rinnovo delle flotte. Infatti, elementi di innovazione quali l’elettrificazione delle banchine (cold ironing), la digitalizzazione dei porti o l’impiego di navi ibride Ro-Ro e di navi crociera di nuova generazione che garantiscono zero emissioni durante le ore di sosta in porto consentirebbero di contenere e, in alcuni casi, annullare l’impatto del sistema portuale sull’ambiente.
Martedì 5 luglio l’Unione Europea ha approvato una nuova Agenda per l’innovazione, che consentirà all’Unione europea di efficientare l’implementazione e massimizzare l’impatto dei progetti di innovazione su obiettivi strategici tra la seconda metà del 2022 e il primo trimestre del 2024. In che modo pensate che la finanza possa contribuire a promuovere questo sforzo di accelerazione dell’EU alla transizione digitale e verde?
L’Europa è tra le regioni a più rapida crescita per quanto riguarda gli investimenti privati. Tra il 2016 e il 2020, ha registrato una crescita più rapida rispetto alla Cina e agli Stati Uniti, anche se partendo da una base inferiore. La finanza e i capitali privati giocheranno un ruolo centrale per contribuire a promuovere la transizione digitale. Sarà necessario lo sviluppo del mercato Europeo dei fondi di venture capital, la crescita di soggetti che siano disposti a supportare progetti di dimensione rilevante facendo da complemento alle risorse delle agenzie governative e degli investitori d’oltreoceano.
CDP attraverso CDP Venture Capital Sgr – Fondo Nazionale Innovazione, ha l’obiettivo di rendere il venture capital un asse portante dello sviluppo economico e dell’innovazione del Paese, creando i presupposti per una crescita complessiva e sostenibile dell’ecosistema venture capital. Anche il settore dei porti può trarre benefici tangibili dagli investimenti in innovazione e tecnologia; l’intelligenza artificiale può rivelarsi strategica per controllare l’intera catena logistica, dall’organizzazione del trasporto, alla gestione delle procedure doganali, alla progettazione e gestione dei magazzini, fino alle consegne, con impatti significativi sull’efficienza delle procedure e sui tempi.
Come valutate il settore portuale? È un ambito in cui pensate che la diffusione dei rating ESG e l’adozione di politiche carbon free possa influenzare oggi le scelte degli operatori?
Il sistema marittimo rappresenta un settore fondamentale per l’economia nazionale, con un contributo pari a circa il 3% del PIL. In questo contesto, i porti svolgono un ruolo centrale, nonostante le difficoltà degli ultimi anni, generate dalla presenza di nuovi competitor nel bacino Mediterraneo.
La presenza di un numero importante di scali con diversa vocazione rappresenta una ricchezza per il Paese che va valorizzata cogliendo le potenzialità ancora inespresse. Tale obiettivo richiede interventi mirati di adeguamento dell’offerta sia all’evoluzione della dimensione e delle caratteristiche delle navi (come la trasformazione green delle navi e il cold ironing), sia alla richiesta di servizi sempre più personalizzati da parte delle compagnie di navigazione. L’adeguamento della dotazione infrastrutturale degli scali non è procrastinabile. In molti porti italiani sono necessari interventi sulle infrastrutture portuali esistenti, per il consolidamento, la sicurezza e l’adeguamento alle stazze delle navi.
Infrastrutture inadeguate, infatti, possono condizionare significativamente la capacità di offrire servizi diversificati. Più avanzato è il sistema logistico di un porto, tanto più ampia sarà la sua capacità competitiva. Ritengo che qualunque investimento sulla rete portuale o sulle infrastrutture stradali o ferroviarie di servizio, debba inserirsi in un approccio “di sistema”, per massimizzarne l’efficacia e l’impatto. In un contesto di mercato in evoluzione, con una spinta verso l’innovazione e la digitalizzazione, è indubbio che un approccio agli investimenti orientato ai criteri di sostenibilità potrà influenzare le scelte degli operatori, non ultimo nella misura in cui tali scelte saranno in grado di attrarre maggiori capitali privati.
In che modo la finanza può promuovere l’affermazione dell’intermodalità? È un ambito che gli investitori stanno valutando?
Oggi perché una iniziativa economica o un progetto infrastrutturale siano considerati sostenibili nel lungo termine dagli investitori, è sempre più necessario che siano basati su un’infrastruttura sostenibile e resiliente intesa come asset progettato e realizzato per integrare i principi ambientali, sociali e di governance e garantire la promozione della lotta al cambiamento climatico.
La valutazione ambientale è entrata a pieno titolo, al pari di quella finanziaria, tra i parametri da considerare nel definire le politiche di allocazione dei portafogli degli investitori. L’intermodalità intesa come la possibilità di generare economie di scala, ridurre tempi di percorrenza e quindi genare valore economico sostenibile è di grande interesse per gli investitori. Ripeto, è necessario un approccio sistemico volto a strutturare un sistema di movimentazione delle merci efficace e competitivo. Secondo uno studio CDP, in Italia vengono già imbarcati su direttrici intermodali e di cabotaggio nazionale e internazionale circa 1,5 milioni di camion all’anno, con una sottrazione di 40 milioni di tonnellate di merci al traffico sulla rete stradale nazionale e una riduzione delle emissioni di oltre 1,2 milioni di tonnellate di CO2. Ciò dimostra quanto ulteriori sforzi in questa direzione potrebbero giovare in termini di riduzione dell’inquinamento. Il trasporto su strada rappresenta, infatti, ancora il 72% delle emissioni inquinanti nel mondo dei trasporti in Europa, e i veicoli commerciali pesanti, che sarebbero i destinatari per eccellenza del trasporto RoRo, rappresentano da soli ancora il 26%.