La spirale inflazionistica che in queste settimane ha investito soprattutto beni alimentari e costi dell’energia sta impattando in modo significativo sulla capacità operativa di molti porti, dove sono in aumento le controversie di lavoro legate all’aggiornamento di salari considerati troppo bassi rispetto all’attuale costo della vita.
Gli scioperi che hanno colpito i principali scali portuali tedeschi (come Amburgo) e britannici (vedi Felixstowe e Liverpool) hanno infatti causato gravi interruzioni alle catene di approvigionamento, con ricadute negative sulle prestazioni portuali.
Nel suo Ports and Terminals Insight, Drewry sottolinea come i tempi di attesa delle navi prima dell’ormeggio siano considerevolmente aumentati nei porti colpiti dalle vertenze. Ad Amburgo, ad esempio, le navi più grandi hanno dovuto attendere tra Luglio ed Agosto in media quattro giorni prima di poter essere lavorate in porto.
Le momentanee crisi della logistica hanno costretto i vettori a dirottare la merce verso porti alternativi, che oggi rischiano però di essere letteralmente inondati di merce.
“Mentre in Germania è stato raggiunto un accordo con i sindacati, la disponibilità di manodopera, in particolare nei fine settimana, rimane problematica” si legge nel report. “La yard occupancy (il tasso di riempimento dei terminal) rimane elevata e questo ha un impatto sulla produttività, con conseguente allungamento della durata delle chiamate”.
Anche nel Regno Unito, le operazioni di movimentazione delle merci a Felixstowe rimangono problematiche, a causa dell’arretrato di lavoro che si è venuto a creare a seguito degli scioperi di 8 giorni proclamati dai sindacati sia a fine agosto che a fine settembre/inizio ottobre. “L’azione di sciopero a Liverpool crea ai caricatori ulteriori problemi” aggiunge Drewry che prevede ulteriori interruzioni alla catena logistica e ritardi nella consegna della merce per tutto il quarto trimestre del 2022.
Secondo Drewry l’aumento dell’inflazione aumenterà la probabilità di scioperi anche in altri mercati “poiché i lavoratori reclamano salari più alti per far fronte all’aumento del costo della vita”.
I drammatici problemi nelle catene di approvvigionamento rischiano di diventare un freno economico anche per la più grande economia del mondo, gli Stati Uniti d’America.
Drewry prende ad esempio il riacutizzarsi delle tensioni sociali nei porti della West Coast degli Stati Uniti a causa del mancato rinnovo di un contratto scaduto nel 2019 e fino ad ora prorogato per tre volte.
Le posizioni tra l’International Longshore and Warehouse Union (ILWU), che rappresenta 15.000 lavoratori portuali, e il datore di lavoro, la Pacific Maritime Association (PMA), rimangono distanti. La sensazione è che le negoziazioni continueranno ancora per molto, per lo meno sino alla fine del 2022, inizio 2023, creando nuove incertezze e interruzioni alla supply chain.
“Resta da vedere se alla fine dell’anno gli operatori terminalisti saranno in grado di trasferire i costi salariali più elevati ai clienti” conclude Drewry.