Interviste

Colloquio con Federico Barbera

Concessioni, «Disciplina da rivedere»

di Redazione Port News

Le nuove linee guida del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti sulle concessioni demaniali hanno suscitato reazioni avverse all’interno dell’intero cluster portuale, accendendo un dibattito sulla necessità di una revisione organica della disciplina. A Port News è intervenuto il presidente di Fise Uniport, Federico Barbera.

Presidente Barbera, che cosa pensa delle Linee Guida?
Sul tema molto è stato detto. Non vorrei ripetermi riguardo a valutazioni – che sostanzialmente condivido – su aspetti specifici. Piuttosto voglio fare un passo indietro tentando di risalire all’origine, alle radici della questione…

Prego
Una delle finalità essenziali e fondanti (non l’unica) della  legge 84/1994 di riforma dell’ordinamento portuale voluta, ben nota e (per più versi) apprezzata da Bruxelles, è la necessità di sottrarre nei porti maggiori l’esercizio delle operazioni portuali, operazioni compiutamente individuate dalla stessa legge, al monopolio di fatto dei preesistenti enti portuali – enti pubblici economici proprio in ragione di quei compiti di gestione di attività economiche – per affidarle al mercato; ad imprese aventi requisiti individuati di massima dall’articolo 16 di quella legge e in maggior dettaglio specificati dal successivi DM n. 585 del 1995; ad imprese che dovevano operare ed effettivamente operano in concorrenza (pur regolata) tra loro potendo esse stesse determinare le condizioni di gestione imprenditoriale e di uso di una porzione del bene pubblico porto.

Da ciò deriva che cosa?
La naturale e logica conseguenza di ciò, che detto per inciso ha consentito ad oggi la nascita di oltre 200 imprese concessionarie ex art. 18 della legge 84/1994 oltre a molte altre imprese autorizzate ex art. 16 (non concessionarie di spazi in uso esclusivo), è che la regolamentazione per il rilascio delle concessione di una porzione di bene demaniale portuale in cui l’impresa autorizzata può svolgere la propria attività, non è riconducibile a obiettivi di rimozione di ostacoli alla concorrenza. Tanto più in una realtà quale quella italiana in cui, diversamente da altri sistemi-Paese (soprattutto quelli che affacciano sul mare del Nord), non abbiamo pochissimi porti e pertanto non si pone il problema di evitare che un unico operatore possa abusare della sua posizione fino al punto di porre ostacoli a traffici gestiti da singoli utenti in danno del sistema economico del Paese.

La regolamentazione prevista dall’art. 18 nasce per soddisfare queste esigenze..
L’obiettivo era (ed è) quello di determinare le condizioni oggettive ed omogenee (il così detto “level playing field”) per l’utilizzo da parte di un’impresa di una porzione di bene portuale, sostanzialmente qualcosa molto vicino alla locazione di una porzione di bene  portuale (quindi pubblico) da utilizzare, in esclusiva, per “conto proprio”(una compagnia armatoriale per le proprie navi o un impianto industriale per i traffici di materie prime, semilavorati o prodotti funzionali al proprio ciclo produttivo) o “per conto terzi” (il così detto “terminalista puro” che offre il proprio servizio a favore, indifferentemente, di tutti gli armatori e/o caricatori).

Ritiene che la nuova disciplina sul rilascio delle concessioni abbia dato una risposta esaustiva a questa finalità?
Il Regolamento approvato con il Decreto interministeriale n. 202 del 28 dicembre 2022 – frutto di una gestazione risalente alla precedente legislatura e mai oggetto di confronto con le rappresentanze delle imprese – ancor prima delle successive linee guida, pare ignorare questi presupposti logico-motivazionali di fatto assimilando gli atti emanati in forza dell’art. 18, le concessioni portuali, ad una concessione di servizio di interesse economico generale. Quasi che i terminal portuali, tutti nel loro insieme, fossero un unicum – gestito da singolo operatore – funzionale ed essenziale per le operazioni portuali così come, invece, ad esempio, è la rete ferroviaria Alta Velocità sulla quale debbono poter transitare operatori ferroviari diversi, o piuttosto come per un’autostrada, infrastruttura che per determinate tipologie di  collegamenti non ha alternative, entrambe infrastrutture il cui gestore ha caratteristiche di monopolista.

Da questo erroneo presupposto logico, dalla mancata comprensione da parte degli uffici UE – pur a fronte dello sforzo profuso dall’Amministrazione nazionale nelle interlocuzioni ripetute con quegli uffici – del concetto di “concessione” (che nel caso specifico di fatto è locazione, tanto che proprio gli introiti derivanti dalle concessioni sono tra le motivazioni precipue che hanno indotto il legislatore italiano -anche qui su input dell’Europa – ad introdurre un regime di tassazione delle AdSP), presumibilmente consegue la necessità di varare linee guida che, per rispettare tempistiche e impegni da tempo presi dall’amministrazione italiana di varare il Regolamento entro il 2022 (quindi non potendolo “congelare” e modificare a pochi giorni dalla pubblicazione) viceversa, erano necessarie per altre finalità che però le stesse linee guida non riescono ad assicurare:  rispondere alle esigenze del mercato e delle imprese; chiarire aspetti e dubbi del Regolamento.

Sta insomma dicendo che il Regolamento e le relative Linee guida non rispondono alle esigenze del mercato e delle imprese…
Vorrei evidenziare la necessità (credo incondizionatamente condivisa) di regole chiare, uniformemente interpretate e applicate, di procedure rapide, di costi determinati sulla base di criteri oggettivi ed omogenei. In assenza (dal 1994 ad oggi, di fatto) della regolamentazione dell’articolo 18, ciascuna Autorità Portuale prima, poi le AdSP che sono succedute a quelle, tenendo conto delle disposizioni del Codice della Navigazione; di pronunce giurisprudenziali; di indicazioni, succedutesi nel tempo, di Autorità indipendenti (AGCM e ART) o del MIT, hanno (comunque legittimamente) regolamentato in modo anche significativamente dissimile aspetti quali le forme di pubblicità per l’affidamento delle concessioni, la durata delle stesse concessioni, le eventuali proroghe, i canoni e le modalità di adeguamento di quei canoni, altri aspetti essenziali. Il risultato è stato un sistema più simile ad un “vestito di Arlecchino” che ad un disegno organico ed equilibrato. Cito ad esempio due soli aspetti.

Prego
Il primo, concessioni in AdSP con durata massima prevista di 20 anni e altre, in porti amministrati da diversa AdSP, prorogate per periodi anche più lunghi. Non esprimo giudizi su nessuna delle due opzioni, solo mi chiedo se questo risponda a logiche di omogenee condizioni di competitività.

Secondo esempio…
I canoni unitari (a mq) variano sensibilmente da porto a porto, con differenze notevoli anche tra scali portuali vicini. Non credo che la risposta giusta e “di mercato” sia un canone unico nazionale ma neanche l’assenza di un tetto che ponga un limite a quella divaricazione, tra l’altro in presenza di espressa previsione di legge – norma primaria non modificabile né con Regolamento e tanto meno con delle Linee guida (per quanto approvate con decreto ministeriale) – che chiede al Regolamento di individuare “i limiti” dei canoni.

Oltre quanto già detto riguardo alle omogenee condizioni di competitività, non sfugge il rischio e il costo per il sistema dei possibili contenziosi che questo (e non è tutto) può generare.

Esemplificando ancora, ma con riguardo all’esigenza di celerità dell’azione amministrativa di cui hanno  necessità gli operatori e il mercato della logistica in genere (mercato peraltro particolarmente dinamico ed evolutivo, in particolare per quanto riguarda il segmento marittimo-portuale): si è valutato quanto incidono in termini di aggravi e lungaggini procedurali le consultazioni preliminari sommate all’attività consultiva obbligatoria di ART, che peraltro depotenzia il ruolo del MIT?

Anche in riferimento al fatto che le Linee guida non raggiungono l’obiettivo di chiarire specifici punti del Regolamento, i possibili esempi sono diversi. Per brevità mi limito a citarne uno per tutti, ben sapendo che ben prima dell’emanazione delle Linee guida come UNIPORT (in analogia e sintonia con altre associazioni degli operatori) ne avevamo sottoposti molti al MIT, come si quantifica lo “scostamento significativo” che consente di avviare un procedimento di eventuale revoca? Quando questa può essere parziale piuttosto che totale?

Insomma, la sua è una bocciatura su tutta la linea
No, non posso dire questo. Condivido però la quasi totalità delle osservazioni critiche alle Linee guida espresse da più parti e riportate in molti articoli di stampa; come credo si evinca da quanto fin qui detto ho riserve anche su contenuti del Regolamento; noto che sono in buona compagnia se considero che accreditati operatori del diritto giungono addirittura a dubitare della coerenza di alcune previsioni di quello con la norma primaria e, addirittura della compatibilità costituzionale di altre previsioni (segnatamente quelle relative al ruolo e alle funzioni attribuite ad ART).

Qual è, a suo modo di vedere, l’aspetto più controverso delle linee guida?
In quale ordinamento di Paese dell’Unione si prevede un doppio livello di controllo (preventivo e successivo) di due diversi soggetti (ART e MIT) su atti analoghi a quelli di cui stiamo parlando emanati da un soggetto, anche esso pubblico, che (e qui richiamo alla lettera proprio quella legge 84 nata anche sulla spinta dell’Europa) ha “compiti di… regolazione” ed al quale è espressamente fatto divieto di svolgere “ne’ direttamente ne’.. – indirettamente..- operazioni portuali”?

Fin qui abbiamo analizzato le criticità, quali sono le possibili soluzioni?
Mi viene da considerare se, ad evitare che l’ennesimo contenzioso vanifichi tutto quanto fin qui fatto, non sia il caso di mettere mano non tanto a riforme ordinamentali non ancora meditate quanto piuttosto ad una più modesta ma immediatamente e necessaria rivisitazione di un atto amministrativo, il regolamento ex art. 18, che aspettavamo (ma non così quale è) da quasi 30 anni.

In altre parole, al netto delle incomprensioni evidenti fin qui avute con Bruxelles, ribadisco il fermo desiderio di UNIPORT di una positiva rivisitazione della regolamentazione in materia di concessioni terminalistiche ed a questo fine rivolgo un appello al Governo, al buon senso dei suoi componenti e alla volontà di trovare idonee soluzioni a problemi datati ed ancora non effettivamente risolti.

Nel confronto sullo stato di attuazione del PNRR l’argomento ha pieno diritto di cittadinanza.

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