Come noto, negli ultimi anni è venuto affermandosi un nuovo trend di riconfigurazione delle filiere produttive. I cambiamenti macro-economici intervenuti nel settore hanno spinto un numero crescente di imprese a fare ritorno nel proprio paese di origine (reshoring) o a trasferire le attività produttive presso paesi terzi comunque più vicini rispetto a quelli asiatici (nearshoring).
Ma fino a che punto si sono realmente affermati questi nuovi trend? A domandarselo è Sea Intelligence, nel suo ultimo report.
Uno degli effetti del NearShoring è rappresentato dall’accorciamento delle catene di approvvigionamento poiché parte della produzione si è spostata in un’area più vicina a quella del consumatore finale, anche se non così vicina da eliminare completamente la necessità di spedizioni via mare di container.
Ciò dovrebbe quindi tradursi in una riduzione delle distanze medie di navigazione. Orbene, dati alla mano Sea Int. fa osservare come le distanze medie per l’importazione dei container in Nord America e in Europa non solo non sono diminuite rispetto al periodo pre-pandemico, ma sono addirittura aumentate.
L’accorciamento delle supply chain avrebbe inoltre dovuto dare un nuovo slancio agli scambi commerciali intra-regionali. Ma, sulla base dei dati forniti da Container Trade Statistics, Sea Int. evidenzia un’altra realtà dei fatti. I volumi di container intra-europei sono addirittura diminuiti rispetto al pre-pandemia, così come i volumi di container intra-nord americani, la cui quota complessiva in rapporto al totale delle merci importate in Nord America è passata dall’1,2% del 2019 all’attuale 0,6%.
In conclusione, i dati disponibili sul volume degli scambi di container non supportano l’idea di un aumento del Nearshoring.