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Interviste

Colloquio con Alessandro Panaro

La Slowbalization vista dal mare, effetto shock o falso mito?

di Redazione

Molti market report affermano ormai come le imprese si stiano progressivamente spostando verso fornitori vicini per far  fronte ai continui problemi economici e operativi. Sebbene si moltiplichino i casi e i segnali che lasciano presagire una tendenza verso il nearshoring (e il reshoring), i dati sugli scambi di volume via mare non paiono però supportare questo sviluppo.

A osservarlo, in un recente studio, è stata Sea Intelligence, che ha messo in rapporto la distanza media per teu percorsa nelle spedizioni via mare con i processi di accorciamento delle catene di approvigionamento, favoriti dalla decisione delle imprese di riportare a casa parte della produzione, o di avvicinarla in aree prossime a quest’ultima. Si tratta di due grandezze inversamente proporzionali in quanto alla diminuzione della prima dovrebbe corrispondere un’aumentata diffusione dei fenomeni di nearshoring e viceversa.

La consultancy firm ha invece riscontrato come le distanze medie percorse in media da un container siano aumentate rispetto ai valori pre-pandemici, sia per le importazioni in Nord Europa che in Nord America. La conclusione cui giunge la società è che il nearshoring e il reshoring non si sono poi sviluppati a tal punto da avere delle ricadute concrete sui traffici marittimi.

Dall’indagine promossa da Sea Intelligence potrebbe dunque dedursi una sopravvalutazione dell’importanza dei processi di riorganizzazione delle filiere e delle catene globali del valore che hanno cominciato a prendere piede a livello globale a partire dal 2019 ma è veramente così? «Il report naturalmente parte da alcuni presupposti, credo però che vadano analizzati anche altri aspetti» afferma Alessandro Panaro, cui Port News ha chiesto una riflessione sul tema.

Il Capo Servizio Maritime & Energy, SRM mette i puntini sulle i: «Dovremmo innanzitutto discutere del fenomeno nell’accezione più corretta del termine” dice. “L’accorciamento della catena logistica è un fenomeno ben diverso da quello del reshoring. Nel primo caso abbiamo un’impresa europea che, per ragioni di convenienza strategica, decide ad esempio di non rifornirsi più in Cina ma in Paesi più vicini al suo. Nel secondo caso, abbiamo un’impresa europea che fino a ieri aveva delocalizzato in Cina e che ritiene, dopo sue valutazioni di convenienza, di dover riallocarsi di nuovo in Europea».

Il fenomeno da analizzare è insomma più complesso di quanto non si pensi. Anche sul dato fornito da Sea Int. ci sono diverse considerazioni da fare: «E’ vero che è aumentata la distanza media delle spedizioni via mare di container ma i motivi per cui ciò è accaduto potrebbero essere del tutto congiunturali” sottolinea Panaro. “Pensiamo ad esempio all’impatto che la guerra in Ucraina ha avuto sui flussi marittimi del grano. La difficoltà di approvvigionamento con quel Paese potrebbe aver contribuito ad aumentare la domanda di grano da Paesi più lontani, favorendo quindi un incremento della distanza media dei viaggi. La fine della guerra (speriamo imminente) potrebbe portare di nuovo a un riassetto dei traffici commerciali».

E poi c’è un altro elemento di analisi che secondo Panaro non può essere trascurato: «Sappiamo che sulle grandi rotte est-ovest la distanza media non è diminuita. Bene, ma che cosa sta accadendo sulle rotte brevi,  le cosiddette rotte Shortsea ? Un eventuale incremento dei traffici intraregionali potrebbe ad esempio permetterci di sviluppare un’analisi diversa da quella citata».

Panaro prende a riferimento l’ultimo report di MDS Transmodal per spiegare come nel II trimestre del 2023 i traffici intra-regionali siano aumentati del 5,6% su base trimestrale, mentre quelli sulle rotte est-ovest sono diminuiti del 3%. «Lo sviluppo dei traffici interregionali potrebbe rappresentare un valido indicatore per esprimere un giudizio sul reale grado di diffusione dei fenomeni di nearshoring e reshoring» afferma l’esperto analista.

Lo stesso ragionamento può essere fatto per lo Short Sea Shipping: lo sviluppo di questo traffico potrebbe essere correlato a una possibile riallocazione delle catene produttive e, quindi, ad un aumento dei rapporti commerciali tra paesi geograficamente vicini.

«Nel rapporto di SRM presentato a luglio scorso mettiamo in evidenza come in dieci anni il traffico container in Italia sia cresciuto del 13%. Nello stesso periodo di tempo, il traffico Ro/Ro è cresciuto del 55%, dato davvero importante. La riorganizzazione delle catene produttive potrebbe aver supportato in parte la crescita della domanda di questa modalità di trasporto, che notoriamente viene usata nelle brevi distanze» spiega ancora Panaro.

Insomma, la verità non è mai una sola ma a seconda dei dati e degli indicatori utilizzati possono essere sviluppate analisi diverse.  «Non smentisco assolutamente i dati di Sea Int. e ritengo che il processo di reshoring potrà avvenire in maniera graduale, sostengo solo che occorre considerare più variabili per osservare il fenomeno» ammette il Capo Servizio Maritime & Energy, SRM .

«Ad esempio, un altro fattore da considerare riguarda la presenza di ZES che può trasformare le rotte marittime: nella Zona Economica del Canale di Suez (Sczone) si sono insediate diverse aziende cinesi. L’incremento eventuale della domanda italiana/Europea di merce da queste imprese produce da un punto di vista marittimo un accorciamento delle distanze di spedizione via mare ma non si tratta di reshoring».

Panaro invita alla prudenza: «Per comprendere un fenomeno non dobbiamo analizzare soltanto le grandi rotte ma saper cogliere e interpretare i piccoli segnali. I processi di nearshoring e reshoring si affermeranno gradualmente col passare del tempo; sono processi che si svilupperanno nel medio-lungo periodo. Analisi congiunturali sviluppate nel breve periodo rischiano di dare una visione magari interessante ma non completa».

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