«In uno scenario internazionale in rapida evoluzione e soggetto a shock multipli e di diversa natura, il Mediterraneo è chiamato ad affrontare una sfida strategica: quella di mettere a frutto il fatto di essere un mare di transito globale e non solo di commercio regionale tra i paesi rivieraschi». Lo afferma Paolo Costa in questa intervista rilasciata a Port News.
«La crisi nel Mar Rosso innescata dai blitz marittimi degli Houthi ha sicuramente destabilizzato i già fragili equilibri geopolitici nell’area medio orientale, con gravi ripercussioni sui traffici navali est-ovest in transito dal Canale di Suez» dichiara il docente universitario e membro del consiglio direttivo di S.I.Po.Tra., che aggiunge: «Ritengo però che la missione Prosperity Guardian promossa dagli USA possa avere buone possibilità di successo».
L’ex sindaco di Venezia, ed ex ministro dei lavori pubblici durante il Governo Prodi I, ribadisce comunque l’importanza di tenere ben distanti le questioni geopolitiche da quelle geoconomiche: «Se la soluzione militare è l’unica veramente percorribile se vogliamo porre un freno agli attacchi degli Houthi, ciò che le navi militari non possono risolvere è la crisi di natura geoconomica che affligge il Mare Nostrum» dice. «Sebbene a livello intra regionale si registri una buona vitalità dell’area marittima grazie anche all’intenso traffico di short sea shipping, è sui transiti oceanici est-ovest che i porti del Mediterraneo subiscono da tempo il migliore posizionamento strategico di Rotterdam, Anversa e Amburgo».
Costa evidenzia come il principale porto olandese continui a costituire il punto più vantaggioso attraverso cui far passare i container che dal porto di Shanghai devono giungere ad esempio in Germania o nella stessa Italia. Un vantaggio competitivo che i porti italiani non sono mai riusciti a scalfire nonostante siano più vicini ai luoghi di destino delle merci. Un vantaggio che Rotterdam si è costruito adeguandosi prima di altri alla scala di attività imposta da meganavi, megacarichi e megaporti e trasformando questo progresso tecnico in una barriera all’entrata per ogni porto concorrente.
«Si tratta di un problema di dimensione di scala» sottolinea Costa. «Oggi le navi hanno dimensione tali da poter essere servite soltanto da pochi selezionati porti. Le mega portacontainer che transitano da Suez pescano fondali superiori ai venti metri e arriveranno in prospettiva a trasportare più di trenta mila TEU alla volta. Questi giganti hanno bisogno di scali portuali in grado di disporre di fondali profondi, piazzali ampi e collegamenti terrestri efficienti per l’inoltro della merce. A differenza di Rotterdam, in Italia non esiste un porto che assommi su di se tutte e tre queste qualità».
Perché? «Mentre i porti nord europei hanno accolto fin dall’inizio le sfide del gigantismo navale, lavorando in prospettiva sulle proprie dotazioni infrastrutturali e terrestri, noi ci siamo mossi con evidente ritardo e con risposte non all’altezza della sfida. E oggi i grandi progetti di infrastrutturazione programmati in alcuni porti nazionali rischiano di giungere tardivamente» dichiara l’ex presidente dell’Autorità Portuale di Venezia.
Non è un caso che dal 2015 al 2021 il traffico container sia cresciuto a Rotterdam di oltre sei milioni di TEU e di appena 500 mila TEU sia nell’Alto tirreno sia nell’Alto Adtiatico in Italia. «Quando affermiamo che l’Italia è la piattaforma logistica del Mediterraneo esprimiamo soltanto un desiderio (wishful thinking). Oggi siamo soccombenti non solo rispetto ai porti del Northern Range ma anche rispetto a quelli greci (si pensi al Pireo) e spagnoli. Questi ultimi hanno cominciato ad affrontare il problema in modo serio: Barcellona, Algeciras e Valencia hanno unito le forze, creando inedite sinergie a livello infrastrutturale e strutturale, considerandosi nei fatti come un unico sistema logistico in grado di intercettare le grandi portacontainer sia per il transhipment che per gli scali diretti».
Non solo: «Mentre oggi il progetto della Belt and Road Initiative è stato messo in discussione da diversi Paesi, tra cui l’Italia, e mentre si sta facendo largo, sia pure con le difficoltà contingenziali del momento, il progetto della nuova Cotton Road, promosso al G20 dall’India, a Madrid hanno ricevuto a inizio Ottobre il primo carico ferroviario di merci proveniente dalla Cina, e in particolare dalla provincia settentrionale dello Shanxi. La Guerra in Ucraina non ha insomma bloccato i traffici ferroviari in transito da Kazakistan, Russia, Bielorussia. Un segno che in Spagna credono fortemente nella via della seta ferroviaria».
Secondo Costa, l’Italia soffre invece di quella che tutti chiamano la sindrome di Sant Louis, città al centro degli Stati Uniti sui cui cieli transitano ogni giorno decine di aerei, senza che nessuno di questi si fermi mai al suo aeroporto: «Fatta eccezione per il transhipment, le grandi navi ci passano accanto senza mai fermarsi nei nostri porti” ammette.
Ma la soluzione è a portata di mano: «Come affermava tempo fa l’allora presidente dell’Autorità Portuale di Genova, Giuliano Gallanti, bisogna cominciare a ragionare per archi: non ha senso che in quello tirrenico, ad esempio, porti distanti tra di loro una manciata di km si contendano gli stessi traffici. Occorre formare sistemi portuali più rilevanti rispetto a quelli costituiti con la riforma Delrio: puntare ad unico sistema dell’Alto Tirreno che vada da Livorno a Savona, e a un unico Sistema dell’Alto Adriatico che coinvolga non soltanto Ravenna,Venezia e Trieste ma anche Capodistria e Fiume».
Creare delle vere e proprie piattaforme logistiche in grado di offrire alle grandi compagnie di navigazione soluzioni integrate per la ricezione e l’inoltro delle merci a destinazione. E’ questa per Costa la vera sfida da vincere. «Si parla da tempo di una nuova riforma della 84/94: se ci fosse la volontà strategica di mettere mano realmente all’attuale modello di Governance, potremmo far fare veramente all’Italia dei porti un enorme passo in avanti sul piano della competizione geoeconomica e geopolitica, altrimenti continueremo ad essere schiacciati dai porti nord europei e, da oggi, anche da quelli spagnoli».