Per gentile concessione dell’editore Rubbettino, pubblichiamo estratti da un capitolo del saggio “Il futuro del sistema portuale meridionale tra Mediterraneo e Via della seta”
Uno dei vettori principali per la riscrittura dell’economia meridionale è la valorizzazione produttiva della logistica e la capacità di farne un’industria a supporto del rilancio manifatturiero. Non sarà un’equazione facile, considerando anche le conseguenze della crisi di lunga durata dalle quali si stenta ancora a uscire, proprio negli Stati dell’Europa meridionale: la brusca frenata dell’economia, l’aumento dei divari regionali, gli squilibri economici e sociali che ne sono conseguiti condizionano pesantemente molti degli assetti sui quali si fondano gli equilibri della politica internazionale.
Occorrerà meglio comprendere quali siano le vocazioni strategiche maggiormente adeguate a rilanciare la portualità meridionale, ricucendo quegli strappi tra porti e territorio che si sono determinati nei passati periodi, in cui sembrava che premiasse una competizione interna tra porti limitrofi, piuttosto che una strategia di più vasto raggio mirata a costruire un modello di sistema portuale adeguato e competitivo su scala regionale e sovraregionale.
Nel corso degli anni recenti tutta la portualità mediterranea ha recuperato uno spazio competitivo rispetto al norther range europeo ma i rapporti competitivi tra i diversi porti mediterranei sono mutati profondamente: si sono affacciati nuovi approdi, mentre si stanno realizzando importanti investimenti infrastrutturali destinati a modificare ancora una volta il quadro. L’Italia, in questo scenario, si è caratterizzata per un elevato grado di campanilismo logistico, con una frammentazione del disegno di rete che ha sempre rifuggito dalla necessità di determinare quella gerarchia delle funzioni indispensabile per generare economie di scala e unitarietà del disegno di network.
È mancata del tutto una visione di sistema e una specializzazione delle piattaforme portuali e logistiche coerente con le trasformazioni che si stavano determinando nella riorganizzazione dei processi industriali e nella geografia delle rotte. Dalla metà degli anni Settanta del secolo passato, è prevalsa l’idea, nell’industria come nella logistica, che «piccolo è bello». In un mondo che costruiva un assetto competitivo di scala sempre più globale, sono prevalsi i localismi, che certamente stanno anche nel codice genetico di una Nazione di recente costituzione, basata più sulla gloriosa storia dei comuni rinascimentali che non sulla capacità di conseguire economie di scala adeguate ad affrontare la competizione internazionale.
Esiste una questione dimensionale che oggi non può più essere elusa. Anche i migliori spiriti imprenditoriali, che certamente vanno stimolati e assecondati, non sono sufficienti per affrontare una sfida del tutto diversa, data contemporaneamente dalla dimensione globale dei mercati, dalla digitalizzazione dell’economia, dalla costante instabilità del quadro economico. I porti della Campania, in particolare Napoli e Salerno, possono essere tra i protagonisti di quest’opportunità di sviluppo, in segmenti di mercato che sono fondamentali per l’economia marittima: le crociere, le autostrade del mare, il settore energetico, i traffici commerciali di container e merci varie.
Nel Tirreno centrale si concentra una catchment area pari al 13,6% del mercato nazionale dell’import e dell’export. Va ricordato che i porti servono i territori, e non viceversa. Soltanto se la logistica e la portualità si mettono in profonda sintonia con la struttura produttiva, e ne suscitano anche una ripresa di competitività, si riuscirà a superare quello strato profondo di stagnazione che ha caratterizzato gli ultimi decenni del Mezzogiorno.
La portualità dell’ Italia meridionale registra, negli anni recenti, la crisi dei porti di puro transhipment, Gioia Tauro e Taranto in particolare. La concorrenza giocata dalla portualità nordafricana, che può contare su molti fattori competitivi (tra cui il basso costo del lavoro e la larga disponibilità di spazi greenfield), il disegno cinese di riorganizzazione dei traffici basato sul Pireo, la crisi dei porti di puro transhipment determinano un ridisegno necessario delle basi portuali mediterranee.
Se da un lato la crisi dei porti di transhipment (Cagliari, Gioia Tauro e Taranto) genera una grave difficoltà in una parte rilevante della portualità meridionale, dall’altro lato la ripresa degli scali gateway può segnare una ripresa interessante dei rapporti tra territorio, industria e sistema portuale. Su questa potenziale sinergia occorre fare leva.
Complessivamente, l’insieme dei porti italiani ha gestito un volume di traffico merci che ha superato la soglia di 500 milioni di tonnellate, con una crescita nel 2017 dell’1,8% rispetto al 2016. Metà circa di questo traffico è generato dai porti meridionali, che contribuiscono quindi in modo significativo alla connettività dell’economia italiana con i mercati internazionali. Sui 500 milioni di traffico movimentato dai porti italiani, oltre la metà (258 milioni) è rappresentato dal traffico rinfusiero, di cui buona parte è costituito dalla modalità delle autostrade del mare. Dobbiamo sempre quindi tenere presente che, nell’analisi sull’andamento dei traffici commerciali, limitare le valutazioni al solo segmento dei traffici contenitori restituisce una fotografia parziale dei fenomeni.
Resta comunque vero che l’evoluzione indotta dalle dinamiche del mercato dei container indica una tendenza sulla quale occorre tenere attento il monitoraggio, in quanto, pure nel peso relativo di questa modalità, tale tecnica di trasporto continua a crescere e rappresenta la faccia più visibile della globalizzazione. Tra il 2013 e il 2017 i porti meridionali di transhipment hanno perso quasi un milione di TEU/anno. Il porto di Gioia Tauro, che nel 2007 era il quinto porto di transhipment in Europa, è precipitato nel 2017 al tredicesimo posto della classifica, con una riduzione dei volumi che in dieci anni è stata pari al 28,9%.
Insomma, una delle funzioni sulle quali si era basata l’identità di una parte rilevante della portualità meridionale, fondata sulla specializzazione esclusiva nel transhipment containerizzato, ha mostrato il suo lato di debolezza strutturale, per diversi fattori: la concorrenza degli altri porti mediterranei, con un costo del lavoro certamente più basso, la debolezza strategica della specializzazione sul puro transhipment, in quanto la riorganizzazione delle rotte punta a privilegiare porti con funzioni miste di gateway e transhipment: a questi elementi si aggiungono anche fattori di carattere normativo, fisico e geografico.
Troppo spesso, quando si parla di competitività dei porti, si fa riferimento esclusivamente all’adeguamento infrastrutturale, tema certamente rilevante ma che da solo non è in grado di costruire quel differenziale di miglioramento logistico del quale abbiamo bisogno.
Su questo fronte la portualità del Mezzogiorno nella sua interezza, e i porti di Napoli e Salerno in particolare, sono chiamati ad affrontare le sfide dei prossimi anni. Certamente dovranno essere completati gli investimenti programmati per migliorare la qualità complessiva della recettività portuale, ma se non si determina un salto di qualità nell’organizzazione dei servizi, pubblici e privati, sarà ben difficile generare quel cambio di passo che dovrà trasformare i porti da strutture puntuali di interscambio tra mare e terra in articolazione di una catena del valore logistico complessivo al servizio del territorio.
Giocare all’interno la dimensione mediterranea significa cominciare a superare una visione di corto respiro basata sui provincialismi portuali che hanno caratterizzato l’economia marittima del nostro Paese nel corso dei recenti decenni. Vanno costruiti assi di cooperazione e di interscambio intermodale, concepiti al servizio della comunità industriale e produttiva.
Nell’ambito di un bacino del Mediterraneo che operi per infittire le proprie relazioni commerciali e le proprie relazioni marittime potrà contare molto lo sviluppo delle autostrade del mare e dei collegamenti ro-ro: lo short sea shipping rappresenta il 60% del trasporto marittimo complessivo di merci nell’Unione europea a 28, e il Mediterraneo è l’area nella quale si registra la concentrazione maggiore di questa tipologia di traffico (29%).
La rappresentazione del sistema di connessioni marittime basata sul traffico contenitori non corrisponde alla realtà dei fatti: mediaticamente assorbe la quantità maggiore delle attenzioni, e rischia – proprio per questo – di essere una modalità di comunicazione che ricostruisce una lettura molto parziale degli assetti reali dell’economia marittima. In prospettiva, si potrà determinare un processo di convergenza tra le due tecniche di trasporto (container e ro-ro), anche mediante navi di concezione mista, che siano attrezzate per operare simultaneamente entrambe le tipologie di traffico (con-ro). Il mondo dell’economia contemporanea tende a operare innovazioni che garantiscano maggiore flessibilità nell’organizzazione dei flussi di merce.
Adriatico e Tirreno sono i sistemi portuali che devono costruire una relazione mediterranea forte, rispettivamente verso l’East Med e il West Med. Nella prospettiva del rafforzamento del collegamento ferroviario tra Napoli e Bari, una collaborazione tra i sistemi portuali del Tirreno e dell’Adriatico diventa essenziale per configurare un assetto logistico capace di offrire al mercato, attraverso la collaborazione con le compagnie di navigazione, una rete adeguata di collegamenti efficienti.
Già oggi circa il 50% di tutto l’import-export dell’Italia marittima parte o arriva in un porto del Mezzogiorno. Questo punto di forza va reso sistema e va considerato una leva strategica d’azione per rafforzare una presenza mediterranea che costituisce un asset prezioso per la nostra economia. Nell’area Mena l’export italiano vale l’11,9% del totale, e quello del Mezzogiorno il 15%. Si tratta dunque di una partita di notevole rilevanza, che vale la pena di essere giocata.
Anche per l’Europa il commercio con i Paesi del area Euro-Med (Algeria, Egitto, Israele, Giordania, Libano, Marocco, Palestina, Siria, Tunisia e Turchia) rappresenta una dimensione di ampia rilevanza strategica: nel 2017 i traffici in importazione dai Paesi Euro-Med per l’Unione hanno raggiunto un valore pari a 148,3 miliardi di euro, mentre in esportazione si raggiunge una cifra pari a 194 miliardi, con un avanzo della bilancia commerciale europea pari a 45 miliardi di euro: nell’insieme la regione Euro-Med rappresenta l’8,6% del totale del commercio esterno comunitario.
Insomma, per il Mezzogiorno, per l’ Italia e per l’ Europa nel suo insieme, la comunità economica che abbraccia il bacino mediterraneo rappresenta l’immediata frontiera del proprio sviluppo; dal rafforzamento delle connessioni dipende la capacità di rafforzare legami dai quali può trarsi una stagione di sviluppo per la sponda nord e quella sud del Mediterraneo.
Perché ciò accada serve però sia consapevolezza degli operatori marittimi ma anche, e forse soprattutto, un’iniziativa politica e istituzionale che restituisca maggior ruolo all’Italia e all’Europa del Sud nello scacchiere mediterraneo. Occorre partire anche, e forse soprattutto, dai punti di forza che vedono già oggi il nostro Paese posizionato in modo efficace nei diversi segmenti di mercato: in particolare, nello short sea shipping l’Italia costituisce il 36% del volume complessivo di traffico di questa tipologia che si svolge nel Mediterraneo.
Il comparto dello short sea appare una leva strategica per lo sviluppo dell’economia italiana e del suo Mezzogiorno. Invece di continuare a fare un’inutile concorrenza con i porti del Northern Range dell’ Europa sul deep sea, conviene valorizzare una specializzazione esistente, e un punto di forza su cui fare leva, per consolidare anche una leadership marittima. Scegliere una strategia di attacco per puntare sullo sviluppo mediterraneo dell’Italia e dei porti del Mezzogiorno risulta possibile a condizione che sia chiaro il quadro competitivo, ponendosi obiettivi effettivamente perseguibili, senza voli pindarici.
Questo disegno articolato di portualità mediterranea, che si è tradotto in frammentazione e competizione interna, debole nella fase della globalizzazione e delle economie di scala, deve essere oggi ridisegnato secondo paradigmi che consentano di generare una rete di collegamenti marittimi e intermodali capaci di supportare un nuovo sviluppo economico della regione.
Purtroppo, sinora, questo orizzonte stenta a manifestarsi e il Mediterraneo rischia di essere più transito di traffici diretti altrove che non protagonista e generatore di connessioni. La centralità mediterranea dei prossimi decenni si misurerà quindi sulla capacità di generare collegamenti interni al bacino, che siano capaci di assecondare e supportare in modo competitivo i legami economici tra i sistemi produttivi delle sponde mediterranee.