Il reindirizzamento dei traffici dal Capo di Buona Speranza potrebbe triplicare il costo dei crediti di carbonio che d’ora in poi le compagnie di navigazione si troveranno costrette ad acquistare nell’ambito del Sistema europeo di scambio ETS per compensare le emissioni di Co2 prodotte dalle proprie navi.
Lo certifica la società di analisi OceanScore, in un report nel quale sottolinea come le deviazioni da Suez a causa del blocco sostanziale del Mar Rosso si siano tradotte in un prolungamento dei transiti nelle rotte est-ovest, con un conseguente incremento dei costi ambientali dovuti al maggiore consumo di bunker e alla necessità di aumentare la velocità di navigazione, da 16 a 20 nodi, per rispettare le schedule programmate e mantenere a un livello soddisfacente il coefficiente di riempimento delle navi.
Come noto, da quest’anno le navi devono acquistare e trasferire permessi (“EUAs”) per ogni tonnellata di emissioni CO2eq rilasciata nell’atmosfera durante un anno solare. Nel 2025 le società di navigazione saranno tenute a restituire il 40% delle emissioni verificate e comunicate durante il 2024, nel 2026 tale percentuale salirà al 70% per le emissioni comunicate nel 2025 e a partire dal 2027 dovranno, in pratica, pagare, indipendentemente dalla nazionalità o bandiera della nave, per il 100% delle emissioni GHG generate nelle tratte intra-EU e per il 50% delle emissioni GHG nelle tratte internazionali da o verso uno scalo europeo.
In base ai calcoli effettuati dalla consultancy firm tedesca, una portacontainer da 14.000 TEU proveniente dall’Asia che si trovi costretta a circumnavigare l’Africa per raggiungere l’Europa avrà bisogno di quasi il triplo delle quote di emissione (European Union Allowances – EUA, equivalenti a 1 tonnellata di CO2eq) di cui avrebbe avuto bisogno nel caso in cui si fosse trovata nella possibilità di transitare da Suez. In sostanza, serviranno 3400 quote in più a viaggio (rispetto alle 1800 previste) sulla base dell’obbligo di restituzione nel 2025 delle quote corrispondenti al 40% delle emissioni verificate nel 2024.
Considerando che il carbonio oscilla intorno ai 55 euro/tonnellata o ai 18 euro a TEU, tutto ciò si traduce attualmente in aumento di quasi tre volte dei costi delle quote EUA, da 98000 a 258.000 euro a viaggio.
Il managing director di Oceanscore, Albrecht Grell sottolinea che se il prezzo del carbonio dovesse tornare ai livelli di un anno fa, quando viaggiava attorno ai 100 euro a tonnellata, i costi indicati raddoppierebbero. Non solo, con l’introduzione completa del sistema ETS al 100% delle emissioni si andrà a registrare un ulteriore aumento del 250% dei prezzi, con un sovraccosto di 80 euro per ogni container da venti piedi trasportato.
“Inutile dire che i cambiamenti nelle velocità di navigazione, nelle diverse dimensioni delle navi, negli utilizzi e nell’efficienza energetica complessiva della nave utilizzata avranno tutti un impatto significativo sull’analisi di cui sopra, ma la tendenza generale sarà la stessa”, conclude Grell.
Interpellato sull’argomento, il presidente del Gruppo di Lavoro Shipping Finance dell’European Community Shipowners’ Association, Fabrizio Vettosi, ha fatto osservare come lo studio dell’OceanScore metta in evidenza tutta la fragilità del Sistema ETS, la cui estensione al mondo dello shipping è stata sviluppata senza comprendere appieno quale impatto avrebbe potuto avere sui mercati di trasporto marittimo.
“Le normative comunitarie dimostrano quanto limitata sia la visione che l’UE ha dello shipping. Bruxelles continua a contestualizzare le norme in ambito comunitario senza tenere conto che le sue ricadute sono globali e interessano tutto il settore, con chiare ripercussioni sulla capacità competitiva di tutti i porti europei” afferma.
“Purtroppo, le Istituzioni europee hanno visione molto teorica, accademica, del nostro settore. Si pensi all’Innovation Fund, che dispone attualmente di una disponibilità finanziaria collegata alla vendita all’asta di circa 530 milioni di quote dell’EU ETS per il periodo 2020 – 2030. Non essendoci ancora un regolamento sulle sue modalità di funzionamento, non si comprende bene come verranno usate le risorse acquisite a livello comunitario dal pagamento delle quote EUA. Anche i criteri per l’accesso a tali fondi sono poco chiari, perché si ritiene che debba goderne l’armatore che effettui almeno il 30% dei transiti giornalieri in un’area di interesse economico europeo. In questo modo vengono tagliate fuori le imprese d’armamento europee, con sede in Europa, specializzate nei traffici internazionali, che quindi scalano i porti europei in misura minore rispetto alla soglia prevista”.
Insomma, molta è la confusione sotto il cielo. Ma di una cosa Vettosi è certo: “Quella dell’ETS è una vera e propria tassa che alla fine andrà a scaricarsi sull’utente finale. Chi inquina paga? E’ una falsità”.