Interventi

L'analisi di Andrea Appetecchia (ISFORT)

Lavoro portuale, i rischi da non sottovalutare

di Redazione

Crescono i volumi di traffico ma diminuisce il numero dei lavoratori occupati. Quello che sta vivendo il mondo del lavoro in porto è un vero e proprio paradosso.

Stamani, a Livorno, nella sede storica della Compagnia Portuale, in occasione di un convegno organizzato dal Partito Democratico – cui hanno preso parte, tra gli altri, il presidente dell’AdSP del Mar Orientale, Mario Sommariva, il n.1 dell’AdSP del Mar Tirreno Settentrionale, Luciano Guerrieri, i deputati PD Valentina Ghio e Marco Simiani, e il direttore editoriale di ShipMag, Franco Mariani – è stato il Responsabile Osservatorio Logistica e Trasporto merci di ISFORT, Andrea Appetecchia, a denunciare le criticità di un mercato, quello lavorativo, che appare caratterizzato da un alto grado di flessibilizzazione, una delle conseguenze del modo in cui le strategie degli operatori della supply chain globali incidono sulle dinamiche dello shipping.

Nella sua relazione, Appetecchia ha evidenziato come tra il 2005 e il 2022  all’interno della merce varia (composta da Rotabili, Container e Project Cargo),  il traffico rotabile e quello containerizzato siano aumentati in Italia rispettivamente del 62 e del 34% (+20%, se si esclude dal conteggio il porto di Gioia Tauro, specializzato nel traffico transhipment).

L’andamento del traffico dei rotabili ha fatto registrare in Italia una crescita accelerata rispetto a quella registrata dai più importanti porti Europei: dal 2015 ad oggi i volumi di semirimorchi e veicoli gommati transitati dalle banchine nazionali sono aumentati del 41%, contro il 12% dei porti europei.

A livello complessivo, tra il 1980 e il 2022 la merce complessivamente movimentata negli scali portuali italiani è aumentata del 26%, di cento milioni di tonnellata: “E’ significativo che in questi anni siano cresciuti di più quei segmenti che richiedono molto più manodopera, come i container e i rotabili. Ci dovremmo aspettare che all’aumentare dei volumi vada ad aumentare anche il numero delle persone occupate. Invece è accaduto esattamente il contrario” fa presente l’esperto di Isfort.

Tra il 1983 e il 2022 la forza lavoro impiegata nei porti è diminuita del 24%. Si tratta di 5300 dipendenti in meno. Un’altra tendenza evidenziata da Appetecchia è che nel corso degli anni la presenza dei lavoratori si è andata concentrando soprattutto nelle società terminalistiche (gli art.18) e in quelle autorizzate allo svolgimento delle operazioni portuali (gli art.16). E’ invece andato progressivamente diminuendo l’organico in forza presso i pool di manodopera. Ne consegue una marginalizzazione strutturale del lavoro a chiamata.

Il rapporto inversamente proporzionale tra queste due grandezze, volumi e lavoratori, ha chiaramente portato ad un aumento della produttività dei porti. Perché ad ogni singolo camallo è toccato lavorare di più per soddisfare quei fabbisogni per i quali erano prima impiegate più persone. Tra il 2009 e il 2022 la produttività è aumentata del 45%.

E’ anche aumentato il livello medio della retribuzione (+29%) ma la contrazione decisa della forza lavoro (-20% nell’ultimo decennio) ha chiaramente portato ad una significativa stagnazione del costo del lavoro complessivo (aumentato in dieci anni soltanto del 3%).

Premettendo che la domanda di lavoro portuale si basa sul livello medio dei traffici attesi, che nei momenti dei picchi di lavoro improvvisi ricorre all’utilizzo del lavoro temporaneo, Appetecchia arriva a sostenere come l’aumento della flessibilizzazione del lavoro in porto, anche a causa dell’affermarsi di fenomeni quali quello del gigantismo navale, stia mettendo a rischio il modello di lavoro portuale così come era stato definito dalla legge 84/94.

In presenza di una forte volatilità di un mercato sempre di più condizionato dalle variabili geopolitiche e geoeconomiche, a soffrire sono soprattutto gli art.17. I cali improvvis di traffico e il conseguente scostamento degli avviami previsti da piani di sviluppo dei pool di manodopera sta  chiaramente mettendo in crisi il modello organizzativo disciplinato dalla legge 84/94, aumentando le tensioni conflittuali in ambito portuale.

Anche i processi di innovazione tecnologica e digitalizzazione stanno impattando sulle modalità organizzative della forza lavoro, contribuendo in taluni casi ad una maggiore standardizzazione dei cicli operativi e ad una minore necessità di forza lavoro, ma una cosa è certa: le esigenze di flessibilizzazione di orario operative e relative alle necessità produttive generate dal flusso delle navi rendono comunque il ricorso al lavoro manuale necessario per lo svolgimento delle attività di movimentazione delle merci nei porti.

Appetecchia sottolinea comunque come il mutamento radicale del rapporto tra la merce movimentata e gli addetti operativi in porti sia avvenuto senza una sostanziale trasformazione dell’attività lavorativa. L’aumento della intensità di lavoro, la concentrazione dei flussi per singola toccata sta avendo anche un impatto negativo sulle condizioni di salute dei lavoratori, con un incremento della percentuale di addetti totalmente o parzialmente inabili, soprattutto nella fascia over 50.

Il responsabile dell’ISFORT tiene a rimarcare come a Livorno, durante la redazione del Piano Organico Porto, sia stato avviato un tavolo di confronto con gli stakeholder per affrontare tali criticità. Secondo Appetecchia, si tratta di un tema di cui dovrebbe farsi carico anche il processo di riforma della legge 84/94 che il Governo ha intenzione di avviare.

“Le risposte vanno trovate a livello nazionale anche perché i Piani Organici Porti si sono rivelati una iniziativa sostanzialmente inefficace, essendo spesso state interpretate dalle Autorità di Sistema come un mero adempimento amministrativo, piuttosto che come un documento di pianificazione strategica”.