Alla fine è andata come temevamo: la Commissione Europea, pur avendo torto nella sostanza e in punto di diritto, ha invitato l’Italia a modificare la propria normativa in modo da garantire che a partire dal 1 gennaio 2020 i porti corrispondano i tributi previsti per le entità commerciali.
La decisione della Commissione è coerente con la linea generale delle argomentazioni proposte da chi ritiene che «qualsiasi entità che eserciti un’attività economica, a prescindere dallo status giuridico e dalle sue modalità di finanziamento, può essere considerata un’impresa ai fini del diritto UE sulla concorrenza».
Sulla base di questo già di per sé discutibile assunto – che estende il concetto di impresa addirittura alle onlus – la Commissione distingue lo Stato dall’Autorità di Sistema Portuale, considerando erroneamente quest’ultima alla stregua di un’impresa sovvenzionata o partecipata, quindi assoggettabile alla disciplina degli aiuti di Stato.
La Commissione non tiene però conto del fatto che l’entità che esercita l’attività economica è lo stesso Stato mediante una delle sue varie articolazioni. Lo prova il fatto che i fondi assegnati in conto capitale dallo Stato alle singole Autorità di Sistema Portuale sono depositati su conti infruttiferi presso la Banca d’Italia, a garanzia dei titoli del debito pubblico. L’utilizzo degli introiti aventi natura di tributi dell’Ente è inoltre soggetto a stretti vincoli e l’Ente effettua un rendiconto annuale di entrate e di uscite, non un bilancio civilistico con investimenti e ammortamenti, con obbligo di pareggio.
Non si tratta pertanto di arrivare a discutere se l’AdSP sia da considerarsi impresa o se eserciti attività economica: è sufficiente prendere atto che si tratta di un organo dello Stato che ovviamente non può essere tenuto a corrispondere tributi a sé stesso. Diciamo la verità, la Commissione non è un mostro ma agisce secondo protocolli e procedure (meno fantasiose rispetto a quelle cui alcuni sono abituati) e a domande precise si aspetta risposte circostanziate, non lettere interlocutorie o trattative da mercato rionale.
La questione è drammaticamente semplice: la Commissione ha fatto domande, non ha ottenuto risposte nei termini concessi e prorogati, di conseguenza ha provveduto. Ora è molto più complicato proporre controdeduzioni efficaci nel termine assegnato di due mesi e, verosimilmente, occorrerà adire la Corte di Giustizia per ottenere in punto di diritto il riconoscimento della correttezza dello status tributario dell’Ente che poteva essere riconosciuta nell’ambito del confronto tra Amministrazioni.
Pare invece che la strada che si sta valutando sia quella di una riforma e qui la questione è più ampia ma altrettanto chiara. Intanto la Commissione ha chiesto di adeguare la normativa tributaria, non ha parlato di riforma della governance portuale che non è oggetto della decisione.
Se vogliamo parlare di riforma, l’unica propriamente detta è la L. 28 gennaio 1994 n. 84. La maggior parte dei lavori di aggiornamento sfociati nel Dlgs 169 del 2016 non sono altro che misure di modifica della governance promosse per aumentare il controllo dell’Ente da parte del Governo attraverso i vari Ministeri.
I problemi veri della portualità non sono stati nemmeno sfiorati, piuttosto ne sono stati aggiunti altri. Faccio alcuni esempi: invece di una riforma strutturale sono stati inseriti concetti come l’adeguamento tecnico-funzionale che trova origine e definizione non in una fonte normativa ma in un lodo del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici; invece di integrare e coordinare finalmente le funzioni di Autorità Marittima e AdSP è stata accentuata la spaccatura limitando i poteri di voto dell’Autorità Marittima; sono stati inoltre creati tavoli talmente ampi da risultare inefficaci tanto da non essere praticamente mai convocati. È mancato poi il coraggio di identificare i vertici in figure manageriali soggette ai risultati piuttosto che al trascorrere del tempo. È stato infine introdotto un sistema di selezione dei candidati a presidente (pubblico ma a risultato secretato) legato a requisiti quasi mai rispettati e comunque privi di comparazione trasparente.
Contemporaneamente sono stati assegnati poteri, molto vicini al veto, ad Autorità indipendenti che applicano norme fuori contesto per una realtà dinamica come quella dei porti e in aggiunta sono state istituite Autorità di regolazione che si collocano a metà tra il Ministero e la stessa AdSP, sovrapponendo competenze assegnate o avocate.
Il correttivo ha poi avuto significato quasi esclusivamente politico per escludere alcune figure rappresentative delle istanze territoriali dal Comitato di Gestione, promuovendo logiche di apartheid invece che di piena integrazione tra il porto ed il territorio in cui è inserito. Si continua a ignorare il fatto che l’Ente agisce in un mercato internazionale ed è costretto dallo stesso mercato a reagire in tempi incompatibili con quelli della Pubblica Amministrazione, e per questo ha necessità vitale di autonomia decisionale e indipendenza effettive.
È sin troppo ovvio che chiunque abbia un interesse legato in qualsiasi modo ai porti (enti locali, operatori, utenza diretta e indiretta) si affanni a richiedere a gran voce una vera riforma in grado di snellire e rendere attuale un Ente oggi di fatto paralizzato nelle sue funzioni. La conseguenza è il parossismo propositivo indotto dal panico e dall’urgenza di provvedere in qualunque modo attraverso ipotesi col fiato corto che traguardano l’immediato senza valutare gli effetti conseguenti.
E così si parla di enti pubblici economici o società di capitali pubblici o forse misti, capitalizzate o meno con la cartolarizzazione dei beni demaniali (il cui solo trasferimento costituirebbe aiuto di Stato) senza porsi il problema delle concessioni attualmente in essere, né quello più sottile del perché debba esistere una società di capitali intermediaria tra lo Stato e l’utilizzatore finale di aree e specchi acquei; oppure senza valutare e prendere atto del fatto che una società di capitali non può svolgere attività di coordinamento se non su base volontaria di altri soggetti, né può riscuotere e gestire tributi ma soltanto canoni a corrispettivo del godimento di beni propri.
Il risultato è stata la paralisi di fatto dell’attività delle AdSP e la controprova è costituita dal fatto che lo stesso Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha assegnato ai loro presidenti obiettivi legati non alla realizzazione dei piani operativi triennali o di opere ma alla redazione di regolamenti interni e manuali d’uso che vincoleranno maggiormente l’azione amministrativa.
Continuare su questa strada porterà inevitabilmente a una moltiplicazione dei problemi mentre la soluzione è semplicemente quella di prendere atto della specialità dell’Ente e dell’internazionalità del mercato di riferimento, di far chiarezza sui ruoli dei soggetti coinvolti evitando sovrapposizioni e di scrivere daccapo e una volta per tutte una Legge speciale sui Porti degna di questo nome, che contenga tutte le regole senza rinvii a norme generaliste, una per tutte il Codice degli appalti.
Occorre in poche parole consentire all’Autorità di Sistema Portuale di svolgere correttamente e appieno il ruolo di regolatore del mercato e facilitatore dei procedimenti amministrativi, lasciando agli imprenditori le attività commerciali che sono loro proprie.