Gli investimenti che, per il loro legame con il mondo dei fossili, sono destinati a perdere valore nei prossimi anni rappresentano una delle minacce più sfidanti per il futuro dello shipping.
Secondo un recente studio prodotto dall’Energy Institute della prestigiosa università britannica UCL (University College London) e dalla Fondazione Kühne, entro una ventina d’anni il settore potrebbe essere scosso da un terremoto finanziario connesso alla bolla del carbonio e alle troppe risorse investite nelle navi adibite al trasporto dei combustibili fossili.
In uno scenario Net-Zero, in cui si assisterebbe ad una radicale trasformazione del mix energetico entro il 2050, la corsa all’elettrificazione, all’idrogeno e al metanolo verde e la grande avanzata dell’eolico e del solare, potrebbero portare infatti a un rapido calo del consumo di petrolio e gas in tutto il mondo, tanto da generare un eccesso di offerta.
In questo scenario, la flotta globale di petroliere e gasiere potrebbe diventare presto obsoleta, inutilizzabile, e finire nel calderone dei beni incagliati, destinati a perdere di valore prima di essere completamente ammortizzati.
Sulla base dei calcoli effettuati dall’Istituto di Ricerca dell’Università di Londra, le petroliere e le navi gasiere (sia quelle in circolazione che quelle attualmente ordinate ai cantieri e in consegna) esprimono un valore complessivo di 539 miliardi di dollari e in condizioni normali potrebbero arrivare generare nel loro ciclo vita sino a 739 miliardi di dollari di ricavi fino al momento del loro ritiro.
Attualmente sono circa 18.000 navi adibite al trasporto di combustibili fossili; costituiscono oltre un terzo dell’attività marittima globale. Secondo lo scenario ipotizzato dal rapporto, già nel 2030 il 36% delle navi tanker in circolazione potrebbe essere forzatamente messo a riposo a causa della debolezza della domanda dei combustibili fossili.
La prevista over supply di navi tanker si potrebbe tradurre in una perdita dei profitti attesi, quantificabile nella migliore delle ipotesi – in uno scenario che non preveda cioè nuovi ordini dal 2023 in poi – in una forbice che oscilla tra i 239 e i 260 miliardi di dollari
Ma i guadagni persi potrebbero aumentare nel caso in cui si prendessero in considerazione anche le navi attualmente ordinate e prossime ad essere consegnate. Le società armatrici rischierebbero di perdere sino a 285 miliardi di dollari di profitti nel caso in cui non venissero più ordinate e quindi consegnate altre navi di qui al 2030 (no further ordering scenario). Una perdita consistente che salirebbe a 373 miliardi di dollari nell’ipotesi in cui di qui al 2030 i vettori decidano di ordinare altre petroliere o navi gasiere.
Gli autori raccomandano che gli armatori e i finanziatori provino a gestire i rischi legati agli asset non recuperabili moderando gli investimenti in tali segmenti a fronte di una domanda futura di trasporto incerta.
Una delle ricercatrici dello studio, Marie Fricaudet, ha sottolineato che lo studio intende mostrare che cosa accadrebbe alle navi che trasportano combustibili fossili se la società scegliesse di raggiungere gli obiettivi concordati dall’Accordo di Parigi ed evitare così gli effetti catastrofici del cambiamento climatico: “I risultati sono piuttosto agghiaccianti per le petroliere – afferma -in uno scenario in cui la nuova costruzione di navi continui fino al 2030, circa il 37% dei profitti attesi non si realizzerebbe.”
Per i ricercatori gli armatori e i finanziatori dovrebbero adottare misure proattive per tamponare le perdite, e provare ad esempio a investire cospicue risorse nell’ammodernamento della flotta esistente.
Secondo lo studio, le navi adibite al trasporto di GPL hanno rispetto alle LNG carrier maggiori potenzialità di essere riutilizzate per il trasporto a basso contenuto di ammoniaca a carbonio. Le navi petroliere potrebbero invece essere riutilizzate per trasportare biocarburanti o prodotti chimici.
“Le nostre previsioni, anche se solo indicative, dovrebbero spingere gli investitori e gli operatori marittimi a valutare i propri rischi climatici e reindirizzare gli investimenti. Il settore dei trasporti deve svolgere un ruolo nella transizione verso una società a basse emissioni di carbonio, con lo spostamento di capitali verso settori che aiutino questa trasformazione”, ha affermato Stefanie Sohm, un’altra delle autrici del rapporto e consulente presso il Centro climatico di Kühne.