“I porti italiani hanno bisogno oggi più che mai di una politica forte, di un sistema di governance pubblica che sappia assumere compiti reali di coordinamento degli investimenti e di intermediazione con i grandi player e che sia in grado di adottare misure internazionali per contribuire alla loro competitività” parola di Maurizio Maresca.
In vista della riunione del Cipom, che si terrà tra pochi giorni e durante il quale si comincerà a discutere della riforma portuale, il noto avvocato marittimista esprime a Port News il proprio pensiero su quelle che, secondo lui, sono le priorità da affrontare per il futuro.
“Mi permetto di ricordare preliminarmente che quando si affronta una importante riforma di sistema che introduce nuove politiche pubbliche che cambiano la società, è importante avere chiaro il contesto istituzionale complessivo oltre che le ragioni internazionali e la logica industriale dell’intervento” premette il professore ordinario di Diritto dell’Unione europea e di Diritto internazionale all’Università di Udine.
“Nel 1994, in un periodo fortemente connotato dagli obbiettivi comunitari della concorrenza e del mercato unico, in un momento in cui si metteva mano ad una nuova costituzione economica europea, il Governo italiano non ha esitato ad attuare la sentenza Porto di Genova (1991) cambiando radicalmente ed in profondità il regime amministrativo dei porti, dando luogo ad una serie di autorità portuali il cui compito non era quello di sviluppare i traffici ma di regolare il mercato portuale, assicurando la concorrenza e la libera circolazione di merci e servizi” ricorda Maresca.
Oggi il mondo è cambiato. “Sono innanzitutto venute meno le regole fissate con la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS): la crisi del Mar Rosso sta di fatto mettendo a rischio il Mediterraneo ed i suoi porti”.
Non solo, “risultano anche in crisi gli assetti post Bretton Woods che hanno disegnato gli assetti del commercio internazionale: il mondo non è più dominato da un occidente neoliberista e ispirato ai suoi valori, ma preda del caos o, se va bene, dei capricci del trio Xi ji Ping, Trump, Putin”.
Oggi, “alla esigenza della concorrenza e della libera circolazione di merci e servizi – la base della legge 84 – si giustappone, prevalendo, una diversa necessità, quella di una politica industriale funzionale alla salvaguardia dell’interesse nazionale, come conseguenza del fallimento delle regole della comunità internazionale”.
Maresca guarda in particolare ai porti e fa osservare come gli Stati non possano più limitarsi a fare regolazione, od anche soltanto amministrazione pubblica, ma debbano sporcarsi le mani con politiche economiche pubbliche che riguardino l’uso del demanio marittimo, il governo dei servizi di interesse economico generale, la realizzazione delle infrastrutture e la ricerca come luogo delle tecnologie. “L’Italia, come ci ricordano Enrico Letta e Mario Draghi nei loro rapporti al Consiglio e alla Commissione, deve andare oltre il mercato, impegnandosi in un’azione di politica economica incisiva che dia solidità alle imprese nazionali” afferma ancora l’avvocato marittimista, sottolineando come quest’epoca ci consegni “un comparto marittimo di fatto governato da cinque compagnie mondiali (cinese, tedesca, francese, danese e svizzero/italiana) che decidono il destino dei porti d’intesa con gli Stati nazionali, chiamati a costruire le necessarie infrastrutture, a promuovere le professionalità, le tecnologie e a definire le regole sui servizi di interesse generale”.
E certo sembra che l’Italia voglia andare proprio in questa direzione pensando ad una riforma della legge 84: ”Il vice ministro Rixi, individuato dal ministro Matteo Salvini quale punto di riferimento per la riforma, ha fatto sino ad oggi un ottimo lavoro” ammette Maresca, aggiungendo che: “è fra i pochi politici italiani ad essersi costruito col tempo un bagaglio di competenze solido. Sono sicuro abbia in mente un chiaro percorso di riforma dell’attuale assetto portuale; probabilmente ascolteremo le sue proposte già durante la prossima riunione del CIPOM”.
Secondo il docente universitario l’idea di un modello Enav dei porti, a suo tempo lanciata dal presidente dell’AdSP del Mar di Sicilia Occidentale, Pasqualino Monti, è sicuramente una risposta alla necessità di uscire da una lettura semplificata della logistica portuale nazionale, centrata sull’obiettivo di assicurare unicamente la regolamentazione del mercato.
Per Maresca, tale scelta comporta necessariamente un cambio di passo anche sulle autorità portuali. “Una volta che si decide il modello societario sul livello nazionale pare incoerente mantenere per le AdSP l’attuale assetto dell’Ente pubblico non economico (che oltre tutto, come abbiamo visto, non regge neppure dal punto di vista del diritto europeo)” dice, sottolineando che: “se la politica dei trasporti nazionale è guidata da una impresa pubblica, è corretto dal punto di vista giuridico che le port authority siano trasformate in società per azioni, partecipate in via maggioritaria dalla nuova impresa nazionale”.
L’avvocato marittimista non vedrebbe male poi che anche la Regioni e i comuni interessati detenessero una quota di partecipazione in seno a queste nuove imprese locali e non disdegnerebbe anche la possibilità di riservare una quota di capitale ai privati, che di fatto sono i soggetti con cui il Governo dovrà programmare la portualità per i prossimi decenni.
Per Maresca questi nuovi enti portuali dovrebbero essere guidati da veri e propri manager. “In fondo – ammette – andrebbe replicato a livello nazionale quello che Zeno D’Agostino è riuscito a fare a Trieste, andando in una direzione opposta a quella prevista dalla legge: cioè rafforzando il ruolo imprenditoriale della sua Autorità Portuale (che è contemporaneamente regolatore pubblico e impresa che opera nel mercato) e facendo quindi fare a quest’ultima un lavoro diverso da quello previsto dalla 84/94”.