L’Autorità Portuale di Livorno prima e l’Autorità di Sistema Portuale del Mar Tirreno Settentrionale poi, hanno operato correttamente.
Lo afferma l’avvocato marittimista e professore di diritto internazionale all’Università di Genova Sergio Maria Carbone, entrando nel merito della vicenda giudiziaria che nella città dei Quattro Mori ha coinvolto soggetti pubblici e privati nell’ambito di una inchiesta sulle autorizzazioni all’utilizzo degli accosti e dei piazzali in radice alla Darsena Toscana.
«Le scelte a suo tempo fatte dai vertici mi sembrano giustificate sul piano delle valutazioni di politica portuale e legittimate dall’istituto di cui all’art. 50 del Codice della Navigazione, anche in combinato disposto con quanto previsto nell’art. 39 del Regolamento Navale Marittimo», afferma Carbone.
«Le circostanze specifiche relative agli accosti 14E-F-G in radice alla Darsena Toscana del Porto di Livorno escludono qualsiasi possibilità di affidarne stabilmente le aree retrostanti a una specifica impresa attraverso lo strumento della concessione demaniale marittima ex art. 18 Legge 84/1994 o pel tramite l’art. 36 del codice navigazione».
Secondo gli inquirenti, la reiterazione a Livorno di autorizzazioni all’occupazione temporanea per accosti e aree portuali avrebbe configurato un illecito perché si sarebbe dovuto procedere al rilascio di una concessione definitiva. Carbone è di tutt’altro avviso: «L’affidamento stabile ed esclusivo avrebbe invece comportato un immediato sviamento della concorrenza, imponendo di fatto all’armatore – utente degli indicati accosti riservati – di utilizzare una specifica impresa (concessionaria dell’area retrostante), senza possibilità alcuna di scegliere».
Nel caso in questione «l’autorizzazione delle occupazioni temporanee determinata sia da un “uso precario per esigenze contingenti” dell’impresa richiedente che da una non definita sistemazione degli spazi portuali, consente – come previsto dall’art. 36 del Regolamento demaniale marittimo dell’Autorità Portuale di Livorno – una rotazione tra gli operatori portuali che ne facciano richiesta».
Carbone sottolinea come, in tal senso, l’art. 50 del Codice della Navigazione consenta l’uso contemporaneo di uno stesso bene da parte di diversi operatori.
All’avvocato una simile soluzione appare del tutto condivisibile, soprattutto in mancanza di istanze di concessione debitamente supportate da un piano di attività: «Non mi risulta che a Livorno le imprese autorizzate abbiano mai presentato un piano di attività compatibile con i requisiti previsti dalla legge per il rilascio della concessione, né era interesse del porto “bloccare” l’uso esclusivo del demanio per lungo tempo».
Per il docente universitario il più recente contesto giurisprudenziale consente «oggi di affermare che le autorizzazioni di occupazione temporanea di aree demaniali marittime sono pienamente e validamente rilasciate dalle diverse autorità portuali italiane nei casi in cui l’atto concessorio non si adatti a soddisfare anche per cause contingenti le specifiche e peculiari esigenze portuali relative ai traffici marittimi e alle relative operazioni portuali (come, ad esempio: interventi di bonifica; lavori di sistemazione di banchine; di innesti ferroviari in porto che non consentono di avere un compiuto assetto organizzativo dei traffici e delle destinazioni degli spazi portuali)».
Pochi giorni fa era stato il neoeletto presidente di Assoporti Daniele Rossi ad aver fatto presente come in un contesto di aggressiva competizione fra gli operatori, che a volte si contendono anche pochi metri quadrati di aree portuali, le Authority siano chiamate a una difficile mediazione e a fare i conti con le difficoltà applicative ed interpretative di una disciplina legislativa di settore particolarmente complessa.
Quella della reiterazione delle autorizzazioni all’occupazione temporanea è una prassi in realtà invalsa in molte Autorità Portuali: «In alcuni porti – afferma Carbone – le autorizzazioni temporanee hanno avuto cadenze di due mesi e sono state reiterate alla scadenza per altri due mesi e, successivamente, ancora reiterate per tre mesi, perché la loro durata è risultata essere compatibile con gli assetti non ancora definiti della specifica realtà portuale».
Per il docente universitario la verità è che «il porto ha assunto oggi natura e caratteristiche di infrastruttura logistica fondamentale nella filiera del trasporto».
Spetta alla Port Authority l’importante compito di «operarne il controllo e il coordinamento, sempre più necessari di fronte a un crescente volume di merci che debbono essere gestite all’interno di spazi ristretti e di vincoli infrastrutturali. Questo insieme di circostanze rende quindi evidente che, nell’ambito di ciascun porto, le risorse devono essere allocate in modo ottimale e nell’interesse di tutti gli utenti, attuali e potenziali, attraverso idonei meccanismi e dinamiche».
Il porto è insomma una risorsa importante: «Ne va disciplinato l’uso valorizzandone le caratteristiche di bene e infrastruttura pubblica con tutte le importanti conseguenze di ordine pianificatorio e soprattutto regolatorio, anche considerando il porto come mercato».
Anche per questo motivo, occorre «assicurare il massimo accesso al bene portuale e quindi utilizzo da parte degli utenti interessati. Il porto deve essere disciplinato in funzione di garantire il raggiungimento di questo obiettivo».