Disegna senza reticenze il quadro internazionale ed europeo che si staglia alle spalle dell’Italia. Ammette che si tratta di uno scenario che evidenzia la necessità di profondi cambiamenti nel modo in cui oggi vengono governate le Autorità Portuali nostrane. E auspica che gli enti di governo dei porti conquistino quel terreno decisionale che oggi non hanno o hanno limitatamente.
Quando mancano pochi giorni alle elezioni che cambieranno il volto del Parlamento Europeo, Paolo Emilio Signorini prova a tracciare la sua rotta.
L’interminabile partita a poker con la Commissione Europea sul tema della compatibilità tra gli aiuti di stato e il finanziamento alle infrastrutture portuali non pare essere ancora giunta agli ultimi giri di carte, ma il presidente dell’Autorità di Sistema Portuale del Mar Ligure Occidentale ci tiene a rimarcare la sua posizione e, possibilmente, a lanciare un sasso nello stagno.
«Sulla questione il Governo sta conducendo un negoziato molto accorto, avendo sottolineato le peculiarità e differenze del nostro modello di governance portuale rispetto a quelli di altre realtà. Credo però che sia ormai consolidato nell’ordinamento europeo il principio secondo cui qualsiasi soggetto pubblico che svolga attività anche a carattere di impresa debba essere considerato esso stesso una impresa».
Se la procedura avviata da Bruxelles in tema di tassazione delle Autorità di Sistema Portuali italiane dovesse avere l’esito che in molti temono, rischieremmo di trovarci «di fronte ad Adsp che pur non avendo l’agibilità dei porti europei si trovino ad essere soggetti al loro stesso regime di tassazione. Sarebbe un capolavoro».
Come uscirne? Signorini definisce il terreno di compromesso su cui trovare eventualmente un accordo: «Potremmo applicare ai canoni una particolare tassazione con un’aliquota forfettaria contenuta».
In questo modo si eviterebbe che il Sistema Paese vada a sbattere sugli scogli di una querelle che però ha radici profonde e che trova riscontro nelle marcate differenze oggi esistenti tra le realtà portuali italiane e quelle degli altri paesi europei, che sono per la maggiorparte “commercially-oriented”: «L’esperienza internazionale ci dice che nessun grande porto europeo o extra-europeo ha le caratteristiche di un ente pubblico come il nostro».
Questo motivo, da solo, dovrebbe bastare a convincere i più ritrosi a virare verso modelli diversi da quelli di gestione semplicemente pubblicistica: «Le Autorità Portuali hanno compiti operativi estremamente rilevanti, e hanno molto di più da fare che non occuparsi di Port Community System o di tecnologia. Siamo tra le più grandi stazioni appaltanti del Paese, facciamo investimenti per miliardi di euro: dovremmo poter avere una capacita operativa e una flessibilità che gli enti pubblici non hanno».
Oggi ha insomma poco senso scavare trincee a difesa di un esistente che all’evidenza non è in grado di affrontare una situazione commerciale e geopolitica che appare sempre più complessa e che richiede prontezza operativa ed efficienza.
Traghettare i porti italiani dalla ridotta del centralismo burocratico verso un nuovo mondo e alzare l’asticella del confronto con la finanza e i grandi operatori? Per Signorini è una strada percorribile.
Il primo inquilino di Palazzo San Giorgio non è però innamorato delle formule giuridiche: «Potremmo puntare sul modello di Spa, oppure sulla forma corporativa, il codice civilistico italiano prevede molti modelli di impresa. Quello che conta è che le nuove Autorità Portuali abbiano uno statuto tipico delle aziende».
Che cosa questo significhi in concreto, Signorini lo dice in seguito: «Dovremmo poter passare a un modello di gestione che consenta all’AdSP di operare in deroga a determinati provvedimenti di carattere generale che oggi condizionano la nostra attività di ente pubblico: penso in particolare al Dlgs 165 del 2001, al cosiddetto testo unico sulle partecipate e ad alcuni vincoli presenti nel codice degli appalti».
Ma attenzione, passare a un modello imprenditoriale non significa certo consegnare le leve di comando ai privati: «Il controllo di queste società per azioni deve rimanere in mano pubblica. Su questo sono allineato sulle posizioni di molti altri colleghi».
Signorini immagina però una struttura di governance piramidale su due livelli: in alto c’è il comitato di sorveglianza, costituito dai rappresentanti delle amministrazioni di prossimità (Comune/i; Regione/i interessate) e da un rappresentante del Ministero delle Infrastrutture, più in basso rimarrebbe il Comitato di Gestione, così come definito dalla novellata legge 84/94: «Il Cdg è stata una delle felici intuizioni del Dlgs 169 del 2016, che puntando su organismi di governance snelli ha voluto rendere le AdSP più efficienti».
L’unico errore della riforma Delrio è stato semmai quello di aver allentato il legame tra l’amministrazione locale e l’istituzione portuale: «Oggi il consigliere designato dal sindaco non è direttamente legato all’amministrazione municipale, ma può rimanere nel Cdg anche nel caso in cui ci sia un cambio ai vertici del Comune».
Per Signorini il doppio livello di governance dovrebbe riuscire insomma a risolvere anche questo tipo di problema.
Ma come si finanzierebbero queste nuove AdSP? «Immaginando un modello corporativo non spinto, simile ad esempio a quello del porto di Anversa, le Autorità Portuali potrebbero trovare un equilibrio accettabile grazie ai canoni, alle tasse portuali e alla compartecipazione al gettito di IVA sulle importazioni generato dalle attività svolte nei singoli porti di competenza».
Le AdSP già oggi si dividono l’80% dell’1% di Iva generata a livello portuale: «Basterebbe ritoccare di poco verso l’alto questa percentuale per avere livelli accettabili di sostentamento finanziario».
Signorini la considera un’ipotesi ragionevole: «non mi pare una richiesta esagerata, e non credo destabilizzi la finanza pubblica».
E allo stesso modo valuta positivamente la battaglia “autonomista” condotta dal presidente della Regione Liguria, Giovanni Toti: «La richiesta di autonomia riguarda vari aspetti, non solo quelli finanziari. Ritengo che i poteri e le prerogative in materia urbanistica (tra cui quelli legati alla redazione dei Piani Regolatori di Sistema Portuale) possano tranquillamente essere assorbiti a livello regionale».
Il futuro impone insomma che l’Italia portuale faccia una scelta di campo, se non altro per evitare di andare a sbattere sugli scogli di una controversia, quella con Bruxelles, che oggi presenta tante incognite e che potrebbe prendere una piega o l’altra a seconda di come andranno a comporsi a livello europeo le forze politiche in campo.
Per l’immediato presente, rimane sempre percorribile la proposta lanciata sulle colonne di Port News dal presidente dell’AdSp del Mar Adriatico Orientale Zeno D’Agostino.
Consentire alle Autorità Portuali di detenere partecipazioni maggioritarie dentro le società che si occupano di logistica e intermodalità? «Questa idea ha lo stesso vizio del male cui si vuole porre rimedio – afferma Signorini – le società partecipate sia pure in maggioranza dalle Autorità Portuali rimarrebbero comunque pubbliche, e quindi soggette agli stessi vincoli che oggi rallentano l’operatività dei nostri enti. Ciononostante, sono favorevole: meglio questo che niente».