Taking the finger off the trigger: allontanare il dito dal grilletto e guadagnare tempo.
In America è questa l’espressione con cui analisti politici e esperti di settore definiscono il nuovo corso della politica trumpiana sul tema della guerra dei dazi.
Le agenzia di stampa dell’ultima ora parlano infatti di una ripresa della trattative, e sebbene il tanto auspicato confronto tra gli USA e la Cina sia ancora di là a venire, la possibilità di un deal tra i due contentendi non viene più considerata come una ipotesi remota.
C’è da scommetterci, il presidente americano Donald Trump non si presenterà al tavolo dei negoziati senza la sua pistola carica: il temuto aumento dei dazi doganali dal 10 al 25% sui circa 200 miliardi di dollari di importazioni cinesi che sarebbe dovuto scattare a marzo è di fatto congelato sino a ordine contrario.
Ma la sicura dell’arma è stata tolta. E quantunque rimanga attestata in una fase di stallo, la rivalità tra Pechino e Washington sta già causando i primi danni.
A sentirsi minacciati dalla possibile e mai scongiurata esplosione del colpo d’arma da fuoco non è tanto il presidente della Repubblica Popolare Cinese, Xi Jinping, quanto i caricatori, le compagnie di navigazione e gli operatori portuali che operano lungo il trade tra l’Asia e le due sponde degli Stati Uniti d’America.
Per buona parte della seconda metà del 2018, e per questo inizio di 2019, gli shipper hanno infatti anticipato le spedizioni, caricando sulle navi quanta più merce possibile pur di evitare di doverlo fare in seguito all’entrata in vigore delle extra-tariffe.
Quali sono state lo conseguenze? Che da febbraio i carichi sono calati terribilmente.
I vettori hanno reagito riducendo in modo significativo la capacità di stiva, e cancellando alcune partenze.
Drewry ha contato 15 blank sailing a febbraio per il solo commercio tra l’Asia e l’US west coast.
Per altro, nello stesso mese i tre porti californiani – Los Angeles, Long Beach e Oakland – hanno visto le proprie importazioni calare del 13,7% rispetto a gennaio (721,157 TEU contro 835,656 TEU).
L’avversa situazione congiunturale invita insomma le grandi compagnie di navigazione alla massima prudenza, tanto che secondo la società di analisi Alphaliner, non verranno introdotti nuovi servizi transpacifici per il picco della stagione estiva. Una cosa simile non capitava dal 2009.
Noli bassi e margini operativi di guadagno minori per tutti i vettori impegnati lungo il trade sino-americano: è il quadro di mercato con cui si apre il Q2 di questo inizio d’anno.
Lo Shanghai Containerized Freight Index nei giorni scorsi quotava tariffe di nolo da 1345 dollari per container da 40 piedi provenienti dall’estremo oriente e diretti verso la costa occidentale degli Stati Uniti, con un crollo che da inizio 2018 è stato del 30%.
Analogamente, il prezzo per trasportare un FEU (Forty-Equivalent Unit) sulla tratta transatlantica tra la Cina e l’US East Coast è oggi di 2357 dollari. Il calo rispetto all’inizio dell’anno precente è stato di quasi il 25%.
É chiaro che la situazione congiunturale non consente alle linee di navigazione di negoziare noli base particolarmente elevati.
Sulle prospettive dei carrier pesa il peggioramento delle previsioni sull’andamento del traffico di container: sempre secondo la consultancy firm francese il 2019 farà registrare un tasso di crescita complessivo su base annua del 3,8%, un punto percentuale in meno rispetto ai risultati del 2018.
In particolare, è previsto un decremento dei volumi cargo lungo il trade transpacifico di circa l’1% rispetto ai livelli dello scorso anno.
E i traffici tra il Far East e il Nord Europa non vanno poi tanto meglio: nonostante gli 1,6 milioni di TEU movimentati nel solo mese di gennaio (un +9,7% dovuto all’impennata della domanda di mercato che si registra di solito alla vigilia del periodo di fermo delle imprese di Pechino durante il Capodanno Cinese), lo SCFI di metà marzo riporta spot rates da 714 dollari a TEU con un decremento del 28,1% rispetto a gennaio 2019.
Di poco inferiore la decrescita delle tariffe di nolo tra Asia e Mediterraneo: 748 dollari per un contenitore da venti piedi, ovvero quasi 250 dollari a TEU bruciati in appena due mesi e mezzo.
La riduzione dei costi dei noli arriva peraltro in un momento delicato, quello delle trattative sul rinnovo dei contratti annuali.
Se questo è il quadro generale, i vettori alle prese con il coefficiente di riempimento delle proprie navi (che non deve scendere al di sotto del 70%), saranno più che disposti a offrire ai caricatori tariffe di nolo da fame pur di tirare avanti la carretta.
E intanto il passo a due messo in scena da Trump e Xi Jinping sta trascinando i player del trasporto marittimo in un crescendo di tensioni commerciali.
Questi ultimi, assieme ai terminalisti dei porti statunitensi, rischiano di oggi di essere gli unici spettatori paganti di uno spettacolo di cui risulta difficile, se non impossibile, prevedere la futura evoluzione.
L’unica speranza è che la complessità delle mediazioni ceda il passo ai tempi delle decisioni.
Il conflitto commerciale tra i due paesi può essere una parentesi (lunga due anni) o diventare una guerra, a seconda di come andranno le trattative.