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La rivolta dei portuali USA

Automazione, progresso o regressione?

di Redazione Port News

Continua a tenere banco in America il dibattito sulle ripercussioni che i processi di automazione nei porti stanno avendo sul lavoro umano. Pochi giorni fa il sindacato dei lavoratori portuali dell’East Coast USA, l’International Longshoremen’s Association (ILA), ha infatti annunciato la sospensione delle trattative sindacali in corso da un anno per il rinnovo del CCNL dei lavoratori portuali, disdicendo l’incontro programmato da tempo con la parte datoriale, rappresentata dall’United States Maritime Alliance (USMX).

Il casus belli, che ha portato l’ILA a salire sulle barricate, è ricondotto alla decisione di APM Terminals di introdurre in un proprio terminal del porto di Mobile, in Alabama, un sistema di cancelli automatizzati in grado di processare i camion senza l’impiego di manodopera.

L’ILA definisce l’Auto Gate System una chiara violazione del contratto in essere e ha affermato che non incontrerà l’USMX se prima non verrà risolto in via definitiva il problema dell’automazione.

“Non ha senso cercare di negoziare un nuovo accordo con USMX quando una delle sue principali aziende continua a violare il nostro attuale accordo con l’unico obiettivo di eliminare i posti di lavoro attraverso l’automazione”, ha affermato il presidente dell’ILA, Harold Daggett.

Il contratto copre almeno 45.000 lavoratori portuali lungo i porti della costa orientale degli Stati Uniti e della costa del Golfo. Il sindacato rivendica di avere 85.000 iscritti e la sua portata si estende ai porti dei Grandi Laghi, ai porti fluviali interni e al sud delle Bahamas e di Porto Rico.

L’ILA esprime da tempo profonda preoccupazione per l’automazione e il sindacato lo ribadisce in una nota rilasciata alla stampa.

Il sindacato ha affermato di aver promosso un audit sui posti di lavoro creati dalle nuove tecnologie,  facendo osservare come il personale specializzato nell’IT sia aumentato in modo esponenziale nei terminal marittimi.

“La maggior parte dei problemi che l’ILA sta affrontando sulla costa orientale e del Golfo derivano tutti dai terminali APM e dalla linea Maersk”, ha aggiunto l’ILA. “Maersk Line, la seconda compagnia marittima più grande al mondo, ha una lunga esperienza nel promuovere l’automazione. Hanno avviato la semi-automazione nel porto di Hampton Roads e hanno raggiunto l’automazione completa al Pier 400 a Los Angeles, California. L’ILA ha perso decine di migliaia di posti di lavoro negli anni ’70 a causa della containerizzazione, e APM e Maersk sembrano essere in prima linea nell’eliminazione di posti di lavoro”.

Daggett ha chiarito che il sindacato assumerà una posizione ferma contro qualsiasi tecnologia che minacci i posti di lavoro dell’ILA.  Il leader dell’ILA ha espresso critiche al presidente Joe Biden e ai legislatori per aver chiuso un occhio sull’automazione e sul suo effetto devastante sui lavoratori americani.

“Come può questa Amministrazione permettere ad una compagnia straniera come Maersk, e ad altre compagnie di navigazione straniere, di farla franca?” si è chiesto il presidente Daggett, avvertendo Maersk e altre società straniere delle conseguenze dei loro piani di automazione. “Segnatevi le mie parole, ci sarà un’esplosione e l’ILA e i portuali di tutto il mondo accenderanno la miccia”.

Secondo il ceo di Vespucci Maritime, Lars Jensen, i dockers dell’ILA sono dei luddisti moderni. “Va notato che negli anni ’70 i lavoratori portuali negli Stati Uniti erano contrari alla containerizzazione poiché ritenevano che eliminassero i posti di lavoro legati al trasporto di merci dentro e fuori dalle navi” spiega Jensen. “Per un breve periodo a New York vigeva una regola secondo cui se si arrivava al porto con un container carico da imbarcare sulla nave, i lavoratori del sindacato dovevano togliere il carico dal container e caricarlo in un container diverso prima che questa potesse partire”, aggiunge, facendo osservare come in base al recente rapporto sulle prestazioni dei porti containerizzati stilato dalla World Bank con il supporto di S&P Global Market Intelligence, nessuno dei porti statunitensi figuri tra i primi cinquanta hub port più efficienti al mondo.

“Il sindacato vuole mantenere le infrastrutture portuali al livello del secolo scorso mentre il resto del mondo avanza nel 21° secolo. Naturalmente, gli Stati Uniti e i suoi cittadini possono scegliere qualsiasi linea d’azione ritengano migliore per la propria Nazione. Ma avere infrastrutture portuali a bassa efficienza comporta un costo logistico”.

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