Interviste

Colloquio con Davide Maresca

Autonomia differenziata, serve veramente ai porti?

di Redazione

La legge sull’autonomia differenziata, approvata ieri in via definitiva alla Camera con 172 voti favorevoli, 99 contrari e un astenuto, potrebbe avere un impatto limitato e comunque solo differito sulla ripartizione delle competenze tra Stato e Regioni in materia portuale. Ne è convinto l’avvocato Davide Maresca.

“Si tratta di una legge esclusivamente procedurale, perché va a codificare la procedura in base alla quale le Regioni possono chiedere di acquisire, ai sensi dell’art.116 della Costituzione, alcune delle competenze che sino ad oggi erano riservate allo Stato o erano comunque concorrenti tra Stato e Regione” afferma.

“La legge definisce modi e tempi entro i quali può essere attuata l’autonomia differenziata sulle 23 materie che secondo la Costituzione possono essere affidate alla Regione. Per quelle materie che richiedono l’individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP), la procedura non potrà essere attivata prima di 24 mesi dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della legge. Per la materia portuale e dei trasporti sarà quindi essenziale individuare i LEP, capire cioé su quali aspetti lo Stato vorrà riservarsi di intervenire, stabilendo che cosa sia o meno essenziale ai fini della salvaguardia dell’interesse nazionale” spiega ancora Maresca.

Ma che cosa potrebbe cambiare per i porti? “Oggi niente, tra due anni le Regioni che lo vogliano potranno chiedere ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia sulla materia” risponde l’avvocato marittimista, sottolineando però come ad oggi non vi sia una reale corsa delle Regioni a chiedere maggiore autonomia in tema di portualità e trasporti.

“Quello che noto è che si sta invece affermando una tendenza opposta. In un Paese nel quale le leggi sono applicate a macchia di leopardo, le Autorità di Sistema Portuali e i territori reclamano spesso maggiore uniformità e non difformità”.

Secondo Maresca, il tema centrale da affrontare è quello di capire, in sostanza, quali potrebbero essere gli aspetti in cui possa residuare uno spazio di reale autonomia nell’esercizio delle competenze sulla materia portuale. Che oggi appare iper-regolamentata. “Pensiamo alle concessioni demaniali, che sono il vero core business delle Autorità Portuali. Ebbene, la materia è disciplinata in modo minuzioso dal Regolamento sul rilascio delle concessioni (DM n.202/2022) e dalle linee guida emanate dal Ministero delle Infrastrutture a maggio del 2023. Pensiamo, ancora, ai dragaggi, disciplinati dal dlgs 152 del 2006. Sono tutti temi sui quali non ci sono reali spazi di autonomia contendibili: da un punto di vista tecnico, particolari forme di autonomia potranno essere chieste soltanto per aspetti di natura strumentale o accessoria”.

C’è però chi sostiene che con il decentramento amministrativo proposto dalla Legge sull’Autonomia Differenziata diventerà possibile trattenere nel singolo territorio una parte delle entrate fiscali nazionali legate alle attività portuali. “L’ipotesi astrattamente possibile sconta una complessità finanziaria e giuridica – afferma Maresca; pensiamo alla possibilità di trattenere nei territori l’IVA generata dai porti di competenza: la richiesta di questa forma di autonomia comporterebbe prima di tutto un detrimento delle finanze per lo Stato, occorrerebbe quindi stabilire con una legge apposita una previsione corrispondente nel Bilancio dello Stato. E poi non dobbiamo dimenticare che l’IVA è una imposta europea e che come tale non può essere trattenuta nel territorio”.

La verità è che la materia demaniale è iperstrutturata da un punto di vista legislativo, non soltanto a livello nazionale ma anche europeo: “Pensiamo alle spiagge: la disciplina europea ha posto un limite persino al federalismo demaniale. Di fatto tutte le leggi regionali sulle concessioni balneari sono state dichiarate incostituzionali per violazione del diritto europeo”.
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