«Quello dei rotabili è sicuramente un traffico strategico per i porti italiani e non è sbagliato studiarne, in prospettiva, le possibilità di crescita grazie alle sinergie che possono essere create tra la modalità di trasporto marittima e quella ferroviaria, ma è indiscutibile che ad oggi per Livorno e Genova non ci sono gli stessi margini di sviluppo che abbiamo a Trieste».
Il docente universitario di economia dei trasporti all’Università degli Studi di Milano-Bicocca, Andrea Giuricin, dà un colpo al cerchio e uno alla botte commentando le opinioni espresse da Gian Enzo Duci e Oliviero Baccelli sulle colonne di Port News in merito alle potenzialità di sviluppo dei traffici di veicoli gommati trasportati in Italia dalle navi.
«Duci esprime un’affermazione corretta quando sottolinea che Livorno e Genova hanno un mercato molto più regionale rispetto a quello di Trieste. E’ indubbio che il porto giuliano ha una catchment area molto estesa, con ramificazioni che vanno ad interessare la Germania, l’Ungheria, la Slovacchia, la Repubblica Ceca, cosa questa che rende assai conveniente lo sviluppo dell’intermodalità ferroviaria, d’altra parte Baccelli parla in prospettiva e afferma che specie per Genova o Livorno si potrebbero cogliere importanti opportunità di mercato laddove si riuscisse a realizzare una integrazione ottimale tra la tratta marittima e quella ferroviaria nelle lunghe distanze. Ritengo quindi che abbiano ragione tutti e due».
Quello che preme sottolineare a Giuricin è però un altro aspetto. «Come sottolineato da Fermerci nel suo ultimo rapporto annuale da poco presentato al Senato, il 2023 ha rappresentato un anno particolarmente difficile per il trasporto ferroviario merci italiano, segnato da una diminuzione del 3,2% rispetto all’anno precedente. E le proiezioni per l’anno in corso non sono ottimistiche».
Giuricin sottolinea come gli attuali scenari rischino di compromettere lo sviluppo dell’intermodalità: «Se è vero che dal 2019 ad oggi i volumi trasportati in modalità combinata sono cresciuti notevolmente in Italia, arrivando a rappresentare il 51% dell’offerta complessiva di trasporto ferroviario della merce, è anche vero che i 26 miliardi di euro assegnati dal PNRR in favore del ferro hanno portato all’allestimento di ben 4000 cantieri, creando quindi degli importanti colli di bottiglia e riducendo l’utilizzo di numerose linee ferroviarie».
Questo non significa che gli investimenti del PNRR siano una cosa sbagliata. Tutt’altro. «I lavori del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza sono indubbiamente necessari per aumentare la competitività del settore. Tra PNRR e fondi europei CEF, l’Italia investirà nel trasporto ferroviario 30 miliardi di euro di qui al 2026. E’ chiaro però che nel medio periodo le compagnie ferroviarie si troveranno ad affrontare non pochi disagi” ammette l’esperto economista dei trasporti, sottolineando come l’impatto diretto di tali interventi su questi soggetti sia quantificabile in una perdita del giro di affari stimabile in 60/70 milioni di euro l’anno. «Dobbiamo chiarire che il cliente non è interessato a comprendere i motivi che stanno alla base dell’inefficienza di una modalità di trasporto. Se il trasporto merci via ferro non funziona, il cliente si rivolge tranquillamente ad un’altra modalità di trasporto e torna difficilmente indietro sui propri passi».
Per Giuricin è fondamentale che il Governo intervenga in modo deciso su questo problema: «L’intermodalità va valorizzata in modo adeguato. Si tratta di una priorità per un Paese i cui volumi di traffico su ferro rappresentano appena il 12,6% dell’offerta di trasporto complessiva».
Sotto questo punto di vista «anche la regolazione economica può aiutare a dare una spinta fondamentale allo sviluppo del cargo ferroviario” ammette il docente universitario della Bicocca. “Come noto, il gestore dell’infrastruttura ferroviaria determina ogni anno il canone dovuto dalle imprese ferroviarie per l’utilizzo dell’infrastruttura. Per il servizio offerto dal Gestore viene stabilito un principio di proporzionalità del canone da correlare sia al costo direttamente legato all’utilizzo e, quindi, all’usura della rete ferroviaria (componente a), sia alla capacità a pagare dei diversi segmenti per recuperare parte die costi fissi (componente b)».
Giuricin ricorda come durante il periodo pandemico il Governo abbia annullato o in alcuni casi ridotto, attraverso specifici provvedimenti, la componente b per taluni segmenti di mercato, tra cui quello merci, prevedendo apposite compensazioni per il gestore della rete. «Questa misura ha avuto ricadute estremamente positive sul segmento del cargo ferroviario. Sarebbe opportuno venisse ripristinata e resa strutturale, un po’ come sta accadendo in Svezia» è la sua proposta.
«Attenzione, gli operatori non hanno più la capacità di mantenere competitivo il trasporto su ferro, soprattutto a causa delle inefficienze dovute all’avvio dei lavori del PNRR. L’eliminazione della componente B non sarebbe particolarmente onerosa per il Governo ma aiuterebbe il settore a rialzarsi».