L’intesa è sempre più lontana. E lo sciopero è sempre più vicino. Sono sul piede di guerra i lavoratori portuali dei porti della costa orientale statunitense.
In queste ore si sono tenuti incontri serrati tra il sindacato, The International Longshoremen’s Association, e la parte datoriale, la United States Maritime Alliance (USMX), per raggiungere un accordo sul rinnovo del contratto di lavoro sessennale che scadrà il prossimo 30 settembre ma le posizioni rimangono distanti.
I negoziati, ripartiti a singhiozzo ad agosto, si erano interrotti il mese precedente in seguito alla ridda di proteste tra i lavoratori scatenata dalla decisione di APM Terminals di introdurre in un proprio terminal del porto di Mobile, in Alabama, un sistema di cancelli automatizzati in grado di processare i camion senza l’impiego di manodopera.
Il casus belli aveva toccato un nervo scoperto: l’ostilità profonda dell’ILA verso l’introduzione dei processi di automazione nei porti statunitensi, strumenti che a detta dei lavoratori rischiano di avere un effetto devastante sulla tenuta occupazionale.
“Non ha senso cercare di negoziare un nuovo accordo con USMX quando una delle sue principali aziende continua a violare il nostro attuale accordo con l’unico obiettivo di eliminare i posti di lavoro attraverso l’automazione”, aveva allora affermato il presidente dell’ILA, Harold Daggett, scagliandosi contro Maersk.
La battaglia contro l’innovazione tecnologica è molto ideologica e va ben oltre gli spazi di manovra garantiti dalle trattative sul rinnovo contrattuale, incentrate invece più che altro sulla parte salariale.
In un video postato sul sito dell’ILA, parlando dello stato di avanzamento dei negoziati, Dagget accenna all’idea di voler formare un’alleanza globale di lavoratori portuali e marittimi: “Prendiamo una compagnia, la Maersk Line. Diciamo che voglia andare in Cile e costruire un terminal completamente automatizzato. Se ciò dovesse accadere, questa alleanza si attiverebbe per fermare il liner. Non importa chi siano, se i liner vogliono installare un terminal automatizzato, ci muoveremo per chiuderlo”.
Anche il vice presidente dell’ILA, Dennis Dagget, definisce l’automazione come un male da estirpare, un cancro da fermare, senza però chiarire come questo tema possa concretamente rientrare nella trattativa con l’USMX.
Più concreta invece la battaglia sul fronte salariale, tema sul quale l’ILA ammette però di trovarsi però di fronte a un vicolo cieco. Il contratto copre almeno 45.000 lavoratori portuali lungo i porti della costa orientale degli Stati Uniti e della costa del Golfo. Il sindacato rivendica di avere 85.000 iscritti e la sua portata si estende dal Maine al Texas.
“C’è la reale possibilità che non raggiungeremo l’intesa – afferma Harold Dagget -; se così sarà, il prossimo 1° ottobre scenderemo in strada a protestare e lo faremo se non avremo il contratto che vogliamo”.
Il n.1 del sindacato sottolinea come le compagnie di navigazione abbiano guadagnato in questi anni miliardi di dollari: “Durante l’epidemia non ci siamo mai fermati, abbiamo continuato a lavorare perché i porti potessero funzionare” puntualizza. “Diversi lavoratori portuali rappresentati dall’ILA hanno perso le loro vite a causa del Covid mentre i cittadini se ne stavano al sicuro a casa propria. Ci siamo esposti in prima persona, perdendo risorse e vite preziose ma abbiamo continuato a garantire alle compagnie di navigazione la possibilità di caricare e scaricare la merce” aggiunge e rivolgendosi direttamente ai big carrier, dice: “Segnatevi le mie parole, vi faremo chiudere se non avremo quello che ci spetta”.
Come spiegato dalla CNBC, l’attuale contratto prevede che i lavoratori rappresentati dall’ILA guadagnino una cifra compresa tra 20 e 37 dollari l’ora. A seconda dell’anzianità, del livello di competenza, dell’indennità di rischio, della differenza di straordinari e del bonus di tonnellaggio (che può essere compreso tra $ 15.000 e $ 20.000 all’anno), un portuale può guadagnare tra i 150.000 e i 250.000 all’anno.
Secondo il Wall Street Journal l’Ila sta spingendo per un aumento del 77% del salario in sei anni, molto più dell’aumento del 32% ottenuto l’anno scorso dall’International Longshore and Warehouse Union (Ilwu) nei porti della costa occidentale.
Secondo Sea Intelligence l’eventuale sciopero potrebbe costare caro ai porti della costa orientale USA. Stimando per ottobre una movimentazione complessiva di 2,3 milioni di TEU, la consulyancy firm arriva a dire che il blocco dell’operatività in questi scali portuali potrebbe tradursi nell’impossibilità di movimentare 74.000 TEU al giorno, di cui 36.000 in import e 38.000 in export.
Non solo: una volta terminato il potenziale sciopero, i porti si troverebbero poi a dover gestire ed evadere l’arretrato che si sarebbe nel frattempo venuto a formare nei giorni di blocco operativo. Premettendo che i porti della costa orientale possono arrivare a movimentare al massimo sino al 13% in più dei flussi container gestititi normalmente, per evadere tutto l’arretrato ci potrebbero volere non meno di cinque-sei giorni di lavoro extra per ogni giorno di sciopero.
Uno sciopero di una settimana indetto per il 1° ottobre porterebbe insomma a grandi problemi di congestione fino a metà novembre. Se lo sciopero dovesse durare due settimane, i porti potrebbero impiegare due mesi prima di poter tornare alla vita normale. Ciò significa che la piena operatività non verrebbe ripristinata prima di inizio anno.