Interviste

Colloquio con Alessandro Laghezza

Chi fa da sé non sempre fa per tre

di Marco Casale

Si sono moltiplicati nei mesi scorsi gli annunci di spedizionieri e caricatori pronti a noleggiare le navi per far fronte ai rincari dei noli e alla ridotta capacità di stiva presente sul mercato.

La scarsa affidabilità della schedule e i disservizi a bordo banchina causati dalle numerose interruzioni della catena logistica – provocate da fenomeni esterni ma anche da strategie precise di mercato – ha convinto ad esempio due colossi statunitensi come Walmart e Home Depot a noleggiare il proprio tonnellaggio pur di garantire la consegna delle scorte ai negozi.

Considerato che ad oggi le tariffe di trasporto di un container da quaranta piedi possono arrivare a superare anche i 20.000 dollari sulla tratta transpacifica, noleggiare direttamente una nave diventa per molti BCO un affare vantaggioso, come riporta per altro il quotidiano specializzato Lloyds List.

Scendere direttamente in mare con una propria nave da 2.500 TEU per un viaggio andata e ritorno di 45 giorni da Shanghai alla costa occidentale degli Stati Uniti costerebbe indicativamente 100.000 dollari al giorno, quindi 4,5 milioni di euro contro i 25  milioni di dollari che il BCO dovrebbe sborsare se volesse rivolgersi ai liner per trasportare 2500 TEU al prezzo di 10.000 dollari l’uno.

Ma se è veramente così remunerativo operare in prima persona una linea marittima per il trasporto della propria merce, perché i casi sinora noti si contano sulle dita di una mano? Perché sono in pochi quelli che alla fine decidono di sfidare i big dell’armamento sul loro stesso terreno?

«Occorre innanzitutto fare delle distinzioni: spedizionieri e cargo owner non simul stabunt» afferma a Port News il noto operatore logistico Alessandro Laghezza«Premesso che i grandi spedizionieri stanno oggi registrando profitti molto rilevanti e non hanno quindi alcun interesse a svolgere direttamente attività di trasporto marittimo, un simile ragionamento potrebbero farlo le piccole e medie case di spedizione ma non è scontato che riescano a trovare navi disponibili da noleggiare a prezzi competitivi».

Il mercato charter ha infatti registrato negli ultimi tempi un’impennata dei costi: le grandi compagnie di navigazione sono disposte a pagare anche fino a 300.000 dollari al giorno pur di portare a casa un contratto di nolo a breve termine.  «Difficile presumere che sul mercato sia presente una grande quantità di tonnellaggio disponibile. Inoltre, qualora la domanda delle navi prese a noleggio dovesse continuare ad aumentare è chiaro che i costi salirebbero, erodendo i margini di guadagno per chi volesse provare a scendere in acqua nel tentativo di contenere i costi del trasporto via mare».

Ma non è questo il solo problema: «non tutti gli operatori, e quasi nessuno tra quelli più piccoli, ha il personale e know-how adatti alla gestione di un’operazione marittima complessa» spiega Laghezza. «I piccoli e medi operatori possono sostenere tutt’al più i costi di un viaggio spot su una linea unica. Ma nel momento in cui volessero estendere il servizio, toccando ad esempio più porti, sorgerebbero problemi nella gestione dei container e del parco vuoti. L’impresa, già di per se titanica, diventerebbe allora proibitiva».

C’è poi un’altra questione da affrontare. Non conviene quasi mai mettersi contro i grandi armatori: «So di due grandi spedizionieri che hanno provato organizzare in proprio il trasporto via nave. I liner non hanno reagito bene. Alcuni di essi li hanno addirittura accusati di voler fare il loro mestiere e hanno minacciato “ritorsioni” sulla reperibilità degli spazi disponibili a bordo delle proprie navi. C’è un equilibrio molto delicato da difendere».

Per i BCO il discorso è invece diverso: «La situazione dei noli ormai insostenibili sta provocando reazioni da parte di tutto il mondo dello shipping – sottolinea Laghezza -, grandi caricatori, come Amazon e Ikea ad esempio, potrebbero presto pensare di rendersi indipendenti dai grandi liner».

Non è un’ipotesi peregrina: «La decisione della catena di supermercati Walmart lo dimostra. Se le grandi compagnie continueranno a macinare miliardi di guadagni senza risolvere il problema all’origine, se continueranno cioè a far ingoiare al mercato noli da 15.000/20.000 dollari al giorno per trasportare la merce dalla Cina, le grandi multinazionali potrebbero ben pensare di spostare la produzione o di entrare direttamente nel business marittimo».

La situazione è molto fluida: «Nel mercato ci sono delle anomalie evidenti. E prima o poi queste anomalie qualcuno te le fa scontare».

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