«I processi di oligopolizzazione e concentrazione cui stiamo assistendo in questi tempi sono socialmente sostenibili?». Nereo Marcucci se lo chiede con la serietà del cristiano sotto l’influsso di Port Royal che si pone il problema della grazia.
A Livorno, nel suo ufficio di consulente, l’ex presidente di Confetra, oggi componente del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL), mostra all’intervistatore un comunicato stampa di tutte le Associazioni Europee rappresentative della supply chain e dei caricatori: «Tutte – senza mezzi termini – contestano con decisivi argomenti legali le conclusioni “tecniche” che consentirebbero alla Commissione Europea di rinnovare sic et simpliciter entro Aprile 2020 la Consortia Block Exemption Regulation»
Secondo Marcucci «la Commissione non è stata in grado di valutare correttamente se le quote di mercato detenute dalle Alleanze/Consorzi siano ancora in linea con le motivazioni che dal 1995 gli hanno consentito di scambiarsi risorse (capacità di stiva, organizzazione di servizi comuni e informativi) oltre i limiti consentiti dalle attuali normative antitrust Europee. Nell’analisi dell’Ue non si è tenuto conto degli sviluppi che hanno interessato lo shipping negli ultimi anni».
Ma all’ex n.1 della Confederazione generale italiana dei trasporti e della logistica non interessa fare una disamina sui legal flows, ovvero sulle criticità giuridiche che starebbero dietro alla posizione delle istituzioni di Bruxelles in tema di CBER. Ciò che gli preme davvero evidenziare è l’impatto che il rinnovo della Consortia Block Exemption Regulation potrebbe avere sulle imprese e le persone che operano lungo la catena logistica: «La Commissione non ha preso in alcuna considerazione l’ampia documentazione della ITF/OECD sulle effettive conseguenze dei molteplici accordi che le Shipping Alliances hanno stretto in questi anni, rendendo meno efficiente il sistema».
Grazie a questi accordi le compagnie di navigazione si sono garantite la possibilità di controllare parti significative della catena logistica, fornendo direttamente servizi end to end, o imponendo alle imprese ogni loro decisione. «Si profila un processo di commoditizzazione (brutto ma utile neologismo) che in tempi brevi influirà anche sulla definizione dei prezzi finali della manifattura. Il rinnovo della CBER contribuirebbe a confermare la sproporzione inaudita tra i benefici che vengono concessi ai grandi gruppi armatoriali e la situazione di libero mercato concorrenziale nel quale operano invece le imprese logistiche e quelle manifatturiere».
Il leone mangia le pecore. Si sa. Tra l’altro si sostiene che in poco tempo anche gli armatori non saranno più in cima alla piramide alimentare. Nell’era post-globale che stiamo vivendo, i nuovi re della foresta saranno i grandi operatori dell’e-commerce, che possiedono aerei e navi di proprietà e che hanno saputo spostare il valore della supply chain nella consegna: «Un amico una volta mi ha detto: “Se per il primo figlio mia moglie comprava i Pampers, con l’arrivo del secondo acquisterà i pannolini che le offrirà Amazon».
Marcucci trova particolarmente pregnante questa osservazione: «Una volta monopolizzato il mercato dei pannolini, sarà Amazon a fissare il prezzo della produzione e del suo trasferimento sino al consumatore finale, arrivando a commoditizzare le stesse container companies».
Quanto tempo passerà prima che arrivi a collassare, in tutto o in parte, il patto sociale su cui sono costruite le società democratiche occidentali, oggi peraltro già percorse da profondi malesseri conseguenti a una globalizzazione mal governata? «Recentemente un bravo avvocato e caro amico mi ha dato del socialista d’antan e del neo-luddista. Credo di essere invece un democratico sostenitore del pluralismo economico e della regolazione del mercato: trovo sia giusto chiederci oggi se la concentrazione oligopolistica orizzontale e verticale sia socialmente sostenibile, soprattutto in Paesi come il nostro sul quale stanno già impattando, a volte in modo rovinoso, la digitalizzazione, la BRI e la guerra dei Dazi tra Usa e Cina, l’avvio della rotta Artica, la trasformazione dell’Africa in una nuova Cina produttrice di beni di buona qualità».
Secondo il consigliere del CNEL, i processi di integrazione orizzontale e verticale delle SS.LL dovrebbero essere regolamentati coerentemente con la normativa europea antitrust. «Occorrerebbe da subito stabilire se debba essere confermato il regime di tassazione favorevole, inizialmente rivolto agli operatori del trasporto marittimo e poi “esportato” anche alle loro attività di handling portuale e di spedizione».
Marcucci pensa anche all’Italia: «Grazie alla cura del ferro e alla visione promossa dal ex ministro Graziano Delrio e dal suo Staff ( ma soprattutto dai fatti che “hanno la testa dura” ), abbiamo lavorato per poter giuocare una partita strategica in Europa legata allo sviluppo dei porti e dei collegamenti ferroviari: il Paese ha investito e sta investendo risorse cospicue con l’obiettivo di creare ricchezza diffusa per tutti noi che con le nostre tasse contribuiamo a rendere efficiente il sistema logistico».
Purtroppo, «Il mancato rispetto delle minime regole di competizione, assieme al potere monopsonistico esercitato, in mare e a terra, dagli armatori e dalle loro alleanze, altera questo scambio, questo dare ed avere, producendo ricchezza solo per pochi e riducendo la “piattaforma protesa nel Mediterraneo a mera area di transito per merci altrui su vettori altrui».
Non è un caso che in questi anni il sistema Paese non abbia affatto aumentato i propri volumi di traffico, anzi: «Se nel 2010 movimentavamo 500 milioni di tonnellate, oggi ne movimentiamo 489 milioni. Non cresciamo. Lavorare per rendere il nostro sistema più efficiente e aumentare le occasioni di export, diventa quindi per noi un imperativo categorico, una scommessa che dobbiamo vincere».
Il tema della competizione è ineludibile, ancora di più oggi, alla luce dei recenti accordi tra gli gli USA e la Cina sull’acquisto di ulteriori 200 miliardi di dollari di prodotti e servizi americani: «L’intesa sino-americana non farà che flettere di un quantitativo analogo le altre economie, in primis quella europea. Non c’è dubbio che una volta conclusa la guerra con la Cina, i prossimi a finire sotto l’occhio del ciclone americano saranno proprio i paesi del Vecchio Continente».
L’Italia rischia in due settori: il food e, soprattutto, l’automotive: «L’attacco di Donald Trump ai mercati automobilistici tedeschi danneggerà anche le imprese della componentistica del nord est italiano».
Che che ne dicano i sovranisti nostrani, le condizioni che negli USA consentono processi “tendenzialmente autarchici” non sono riproducibili nel nostro Paese: «Dobbiamo riflettere seriamente sul ruolo che l’Italia può avere nel mondo in un contesto geopolitico e geoeconomico profondamente mutato: è bene ad esempio che il sistema Paese e le singole comunità portuali valutino che nel breve-medio periodo le relazioni commerciali lungo le rotte nord-sud saranno tanto importanti quanto quelle est-ovest».
Marcucci sottolinea come nel centro Africa la Cina stia costruendo veri e propri complessi industriali destinati alla produzione di auto elettriche: «le piattaforme di produzione, assemblaggio ed inoltro programmate sono più di cinquanta, e non ho preso in considerazione quelle in America Latina ed in Asia. C’è tutto un lavoro di scouting che il Paese e le singole comunità devono fare per allargare il range delle nostre esportazioni che oggi è limitato a 2.000 km».
Il rilancio degli investimenti del pubblico e del privato sono una precondizione necessaria, anche se non sufficiente, per raggiungere il ristabilimento degli equilibri tra le diverse componenti del sistema: «Il futuro è incerto e la strada da percorrere è ancora piena di ostacoli, ma sono convinto che le aziende dell’industria logistica sapranno fare bene la propria parte contribuendo a dare all’Italia la posizione che merita di avere nello scacchiere internazionale».