Con il protrarsi della situazione emergenziale e il moltiplicarsi delle incognite sul futuro delle crociere ma anche dei rotabili, molti porti dovranno reinventarsi una propria identità per non essere messi ai margini. Non fa eccezione lo scalo di Civitavecchia, che si trova oggi – al pari di altre realtà portuali italiane – a dover far fronte a una crisi senza precedenti.
È questo il ragionamento che il presidente della Compagnia Portuale di Civitavecchia, Enrico Luciani, offre a Port News. «Il Covid-19 ha paralizzato il sistema produttivo nazionale e ha messo in difficoltà uno scalo come il nostro, il quale – per una scelta che io non condivido e non ho mai condiviso – ha deciso di puntare il tutto per tutto sul traffico crocieristico».
Al 10 aprile – i dati sono di Cemar – l’impatto dell’emergenza Coronavirus sul mercato delle crociere in Italia è salito ai 953 scali cancellati. 2.615.000 passeggeri che non risulteranno movimentati nei vari porti dello Stivale.
«Con il crollo netto del traffico cruise il nostro porto rischia di perdere il suo business principale, che rappresenta oltre il 40% del fatturato», afferma Luciani, che non nasconde la propria preoccupazione per i dipendenti: «La cooperativa annovera circa 200 soci ma abbiamo anche un centinaio di interinali che chiamiamo a lavorare durante la stagione estiva e che stiamo cercando di assorbire gradualmente nel nostro organico. Ad oggi non possiamo più garantire per il loro futuro. E questo mi preoccupa terribilmente».
Luciani evidenzia come il porto mostri segni di sofferenza anche in altri traffici, tra cui quello dell’automotive e dei rotabili. E poi c’è il settore energetico: «Sino al 2018 lo scalo portuale movimentava in media oltre 4 milioni di tonnellate di carbone per alimentare la vicina centrale ENEL di Torrevaldaliga Nord; l’anno scorso, la movimentazione si è ridotta ad 1,8 milioni di tonnellate e nel 2020 il traffico energetico lascerà sicuramente sul terreno altre 200/300 mila tonnellate di merce».
Se questa è la situazione attuale, e «se è vero, come affermano diversi analisti, che ci vorranno almeno due anni prima che il traffico delle crociere possa ripartire a pieno ritmo, allora dobbiamo dare al nostro scalo un nuovo orizzonte percorribile».
Per il presidente della CPC non bisogna inventarsi niente di nuovo, la soluzione c’è già e si chiama Banchina Container: «A oggi quell’area, data in concessione alla società terminalista Roma Terminal Container (RTC) del gruppo MSC, giace praticamente inutilizzata e non sfruttata per le sue reali potenzialità».
Perché? «Il gruppo armatoriale in questione ritiene che non ci sia mercato, e che quindi non valga la pena movimentare contenitori. Io sostengo invece che il mercato c’è. Abbiamo un bacino di utenza potenziale che tra Roma, il Lazio, la bassa Toscana, le Marche e l’Umbria potrebbe consentire al porto di arrivare a movimentare sino a 2,5 milioni di TEU». Luciani si accontenterebbe però di poco: «Per uscire dalla crisi basterebbe arrivare a movimentare sui 400/500 mila TEU. Tanti ne servirebbero per soddisfare le esigenze del mercato domestico, e soprattutto è un numero fattibile già da oggi».
Per il numero uno della Compagnia Portuale Civitavecchia si tratta di un risultato raggiungibile: «La Regione, l’Autorità di Sistema e le altre Istituzioni coinvolte dovrebbero chiamare attorno a un tavolo MSC e lavorare in questa direzione. Sono sicuro che sarebbe il modo migliore per fare della più grande crisi sanitaria ed economica che abbia interessato il nostro Paese una importante occasione di rilancio del Porto della Capitale».
Perché il sistema logistico-portuale del Lazio e del Centro Italia possa veramente decollare è poi «imprescindibile che le Istituzioni preposte ripristinino l’ infrastruttura ferroviaria Civitavecchia-Capranica-Orte, quella viaria del raccordo A12-Pontina e soprattutto la SS 675 o “Trasversale Nord” Civitavecchia-Orte-Terni, di cui sono oltre venti anni che mi batto per il completamento».