Blue Economy al Porto di Livorno
© Luigi Angelica
Focus

Trend evolutivi ed effetti economici

Com’è profonda l’economia del mare…

di Bernardino Quattrociocchi

Ordinario di Economia e Gestione delle imprese all’Università La Sapienza di Roma

La cantieristica navale in Italia vanta una tradizione millenaria, storicamente impressa nell’immaginario collettivo dall’epopea delle Repubbliche Marinare, che ha contribuito a “fare” degli italiani un popolo di navigatori. L’abilità specifica dei nostri artigiani nel costruire imbarcazioni si è arricchita nell’epoca attuale, tuttavia occorre comprendere le differenze competitive presenti sul mercato.

La filiera presenta diverse velocità: accanto a grandi imprese ne sussistono di piccole, che operano spesso con tecniche ancora artigiane e che  contribuiscono a rinverdire la tradizione italiana. Tuttavia difficilmente riescono a partecipare alla ripartizione del valore che la filiera produttiva genera lungo tutto il suo percorso, anche perché la trasformazione del valore in “ricchezza novella” avviene quasi esclusivamente per mezzo delle grandi imprese che commercializzano il prodotto finale “imbarcazione”.

Nel comparto della cantieristica da diporto specializzata nella produzione di imbarcazioni di medio-grandi dimensioni, alcune imprese italiane hanno invece raggiunto negli ultimi anni posizioni di leadership a livello mondiale.

Lo sviluppo del settore sta inoltre generando la nascita di nuove attività terziarie a esso collegate e prospetta la possibilità di attivare in diverse aree del Paese progetti integrati di crescita economica fondati sulla valorizzazione di risorse ambientali, imprenditoriali e professionali.

In una situazione di crisi congiunturale, il comparto della nautica da diporto si distingue quindi per la capacità di fare e generare sviluppo.

Al suo interno si registrano due categorie d’imprese, che manifestano anche due velocità o meglio diversi livelli di competitività: l’impresa leader, innovativa, in grado di accedere direttamente al mercato e di controllare anche il processo di creazione di valore; l’impresa follower che – per dimensione, relazioni e disponibilità di risorse – segue la condotta dell’impresa leader, subendo sovente anche le scelte, non partecipando congruamente alla ripartizione del valore.

Queste due categorie d’imprese sviluppano anche due processi di internazionalizzazione ben distinti. Da un lato l’impresa leader, per relazioni e capacità competitiva in grado di accedere ai mercati internazionali; dall’altro l’impresa follower, che ha scarse opportunità di accedere ai mercati esteri e anzi in alcuni casi ignora quasi del tutto la possibilità di sbocco sul mercato internazionale.

Un primo ordine di considerazioni deriva da una lettura macro economica del ruolo che la nautica da diporto svolge o potrebbe svolgere con maggiore incisività nell’economia italiana e di come questo comparto fondi il suo sviluppo su alcune connotazioni tipiche del made in Italy.

Si rileva infatti come il prestigio dei marchi delle aziende leader trovi alimento anche dalle caratteristiche distintive che, nell’immaginario collettivo, contraddistinguono nel mondo i prodotti italiani.

Un secondo ordine di problemi riguarda l’analisi dei processi di sviluppo del comparto focalizzata sulle strategie competitive internazionali adottate dalle imprese leader e dalle imprese follower, miranti a soddisfare una domanda specifica e circoscritta, presente però in tutti i Continenti e in continua crescita, specialmente nei Paesi in via di sviluppo.

Dalla necessità di “intercettare” questa crescente domanda di nuovi potenziali acquirenti si fonda la sopravvivenza e l’affermazione del comparto della nautica nazionale.

Per delineare politiche mirate di internazionalizzazione del comparto, occorre in ogni caso comprendere la natura del prodotto nautico che non si può ridurre alla sola imbarcazione da diporto di dimensioni più o meno grandi ma include necessariamente tutta l’economia del mare. Solo in questo modo è possibile affermare e sviluppare la capacità competitiva e la propensione all’internazionalizzazione delle imprese della filiera nautica.

Trend evolutivi 2011-2016

L’economia di un Paese può rivelare molti punti di forza se la si legge in termini di innovazione, viaggiando trasversalmente nei settori di attività economica, intercettando filiere produttive che possono essere non solo caratterizzate da interdipendenze settoriali ma che costituiscono anche il risultato di un insieme di attività che hanno come comune denominatore un fattore dal quale scaturiscono.

Una di queste è la blue economy, un volto del sistema produttivo che è relazionata con tutte quelle attività legate allo sfruttamento delle risorse provenienti dal mare.

Queste sono rappresentate da un ampio rango di attività che vanno a formare la filiera dell’economia del mare, includendo tanto le attività primarie (come la pesca) che quelle terziarie (turismo marino, trasporti marittimi, ricerca e regolamentazione ambientale), passando poi per quelle secondarie (cantieristica ed estrazioni marine).

In un Paese come l’Italia, bagnato dal mare per circa l’80% dei suoi confini, la blue economy costituisce una parte importante del proprio sistema produttivo.

Sono quasi 200mila le imprese dell’economia del mare, una costellazione di aziende che rappresenta una quota pari al 3,1% del totale nazionale. Una forza imprenditoriale che cresce rispetto al resto dell’economia, grazie a una variazione negli ultimi cinque anni di circa l’8% a fronte di una flessione di quasi un punto percentuale al di fuori della blue economy.

In particolare, dalla lettura dei trend evolutivi 2011-2016 emerge un importante aumento delle imprese che si dedicano ad attività di ricerca, regolamentazione e tutela ambientale (+28,5%), seguito da un incremento di aziende che operano nel settore dei servizi di alloggio e ristorazione (+17,6%) mentre si registra una crescita di attività imprenditoriali di tipo sportivo-ricreativo (+7,7%). Si registrano invece diminuzioni nel settore della filiera ittica (-1,2%) e in quello della cantieristica (-5,8%).

Considerando invece la distribuzione e geografica delle imprese “blu”, il Mezzogiorno e il Centro Italia sono le due macro-ripartizioni a più alta concentrazione di imprese operanti nel settore della nautica, con un’incidenza del 4,1% e del 4,2% sui rispettivi totali imprenditoriali (in valori assoluti sono 82.417 le imprese dell’economia del mare nel Mezzogiorno e 55.363 quelle nel Centro).

Nel Nord-Est le 29.439 imprese della blue economy rappresentano il 2,5% di tutte le imprese dell’area, mentre nel Nord-Ovest incidono solo per l’1,4%, con 22.522 unità.

Osservando invece l’incidenza delle aziende “blu” sull’intero tessuto imprenditoriale regionale, è possibile invece stilare una classifica che vede al primo posto la Liguria (9,1%) e a seguire altre cinque regioni che superano la soglia del 4% (ovvero circa un punto percentuale al di sopra della media nazionale): Sardegna (5,7%), Lazio (5,3%), Sicilia (4,7%), Calabria e Marche (4,4%).

Filiere della blue economy

Al fine di comprendere maggiormente il peso e l’importanza del mercato generato dalle diverse attività marine, credo sia utile riportare a questo punto i dati di sintesi relativi a ogni filiera della blue economy.

Servizi di alloggio e ristorazione – Comprende tutte le attività legate alla ricettività (alberghi, villaggi turistici, colonie marine, ecc.) e quelle relative alla ristorazione, compresa ovviamente anche quella su navi. Il turismo marino è l’ambito dove si concentra la maggior parte delle imprese della blue economy, poiché più del 40% delle attività coinvolte (quasi 81mila imprese) operano nel settore dei servizi di alloggio e ristorazione.

Filiera ittica – Riguarda le attività connesse con la pesca, la lavorazione del pesce e la preparazione di piatti a base di pesce, incluso il relativo commercio all’ingrosso e al dettaglio. Connesso in parte al turismo per ciò che concerne la filiera “dal mare alla tavola”, costituisce il secondo settore della blue economy e conta circa 33.800 imprese, pari al 17,8% del totale imprese dell’economia del mare.

Attività sportive e ricreative – Impegna circa il 16% del tessuto imprenditoriale della blue economy (più di 29.200 imprese) e comprende le attività connesse al turismo nel campo degli sport acquatici e del divertimento: tour operator, guide e accompagnatori turistici, parchi tematici, stabilimenti balneari e altri ambiti legati all’intrattenimento e divertimento (discoteche, sale da ballo, sale giochi, ecc.).

Industria delle estrazioni marine – Riguarda le attività di estrazione di risorse naturali dal mare: ad esempio sale, petrolio e gas naturale con modalità off-shore.

Cantieristica – È uno dei comparti tradizionalmente più caratteristici dell’economia del mare sui mercati internazionali ed è formata da 27.151 imprese (14,3% del totale). Racchiude le attività di costruzione di imbarcazioni da diporto e sportive, cantieri navali e di demolizione, di fabbricazione di strumenti per navigazione e infine di istallazione di macchine e apparecchiature industriali connesse.

Movimentazione di merci e passeggeri – Fa riferimento a tutte le attività di trasporto via acqua (sia marittimo che costiero) di merci e persone , unitamente alle relative attività di assicurazione e di intermediazione degli stessi trasporti e servizi logistici. Questo settore svolge un ruolo importante e comprende più di 11mila imprese, pari al 5,9% del totale imprenditoriale della blue economy. Nel 2016 ha registrato un aumento del 1,5%, grazie anche al comparto crocieristico: l’Italia resta la prima destinazione europea con una movimentazione di passeggeri pari a 11 milioni (+0,2%), con oltre 5 milioni di passeggeri in transito nei soli porti principali italiani (Civitavecchia, Venezia e Napoli). Considerando invece il trasporto merci, nel 2016 sono state movimentate 484 milioni di tonnellate (+1%), in particolare i porti principali nel settore dei trasporti risultano essere Trieste e Genova.

Ricerca, regolamentazione e tutela ambientale – Include le attività di ricerca e sviluppo nel campo delle biotecnologie marine e delle scienze naturali legate al mare più in generale, le attività legate all’istruzione (scuole nautiche, ecc.) nonché quelle di regolamentazione per la tutela ambientale e nel campo dei trasporti e comunicazioni. Questa categoria di imprese è quella che ha registrato il più forte aumento tra le altre appartenenti alla blue economy (+28,5%): si sono sviluppate soprattutto nel Nord-Ovest (+49,4%) e nel Nord-Est (+34%), con un tasso di natalità che supera nettamente la media nazionale.

Effetti economici e sociali

In termini analitici, l’economia del mare può essere osservata considerandone la dimensione economica e quella di tipo sociale.

La prima riguarda il tessuto imprenditoriale, le cui analisi sono state arricchite osservando le caratteristiche di coloro che sono alla guida delle imprese (giovani, donne e stranieri) e il contributo che la stessa blue economy fornisce al Paese in termini di occupati e ricchezza produttiva (valore aggiunto), valutandone anche i risvolti sul piano degli effetti moltiplicativi nel resto dell’economia.

La seconda dimensione concerne invece l’analisi di particolari caratteristiche inerenti l’occupazione dell’economia del mare: professioni, età, genere e nazionalità.

Spiccata è la “voglia di impresa” che coinvolge i giovani, in quanto circa 10 imprese della blue economy su 100 sono guidate da under 35. Tuttavia nel quinquennio 2011-2016 l’incidenza delle imprese giovanili in questo settore è diminuita di quasi un punto percentuale (dal 10,5% al 9,8%), registrando cali nei settori ittico, cantieristico e delle attività sportive e ricreative.

Tale incidenza è invece aumentata nel settore dei servizi di alloggio-ristorazione e in quello dei trasporti marittimi (dal 6,1% del 2011 al 7,0% del 2016) mentre è rimasta pressoché invariata nel settore della ricerca, regolamentazione e tutela ambientale.

Ancor più forte è la presenza del genere femminile nell’economia del mare: più del 20% delle imprese risultano infatti a guida “rosa” anche se nel 2016 sono diminuite di 1.256 unità rispetto al 2011 (-3,1% in termini percentuali) per un ammontare complessivo, al 31 dicembre 2016, di 39.651 imprese.

Analogamente a quelle giovanili, le attività a conduzione femminile sono maggiormente presenti nei settori dei servizi di alloggio-ristorazione (26,5% con 21.405 unità) e soprattutto nel Nord-Ovest dove si registra una percentuale più alta delle attività sportive-ricreative (26,1%, con 7.638 unità) e della filiera ittica (17,4%, con 5.892 imprese a conduzione femminile).

Rispetto alle due precedenti tipologie imprenditoriali, gli stranieri sono meno presenti nella blue economy: alla fine del 2016 si contavano 11.387 imprese straniere (6% del totale), registrando al comunque un loro aumento significativo rispetto al 2011 (+32,5%, pari a +2.795 unità).

A livello settoriale si registra una percentuale più elevata di attività gestite da stranieri nei servizi di alloggio e ristorazione (7,6% con 6.142 imprese) e nella cantieristica (6,9%, con 1.882 aziende). Esiste poi una quota non trascurabile di imprese straniere nel settore delle attività sportive e ricreative (5,1% con 1.481 unità).

L’economia del mare è dunque una forza imprenditoriale che rappresenta un motore per la produzione economica, tanto che il valore aggiunto prodotto dalla blue economy ha superato nel 2016 i 44 miliardi di euro (pari al 3% dell’economia italiana).

Più specificatamente, al settore dei servizi di alloggio e ristorazione è ascrivibile la percentuale più elevata di valore aggiunto (30,4%, quasi 13,5 miliardi di euro) mentre il settore delle attività sportive e ricreative produce la inferiore quota di valore aggiunto pari al 5,8% (circa 2,6 miliardi di euro).

Dietro alla produzione risiede una forza lavoro che conta nella blue economy oltre 800 mila occupati, pari al 3,5% dell’occupazione complessiva nazionale.

Ancora più importante si rivela la capacità di sostenere proprio l’impiego, considerando che dal 2011 al 2016 il numero di lavoratori nella blue economy è aumentato di quasi 3 punti percentuali a fronte di una sostanziale stagnazione nel resto dell’economia.

Numeri che evidenziano bene il contributo più che positivo che questo segmento produttivo è in grado di assicurare alla crescita socio-economica del Paese, soprattutto se si tiene conto della sua capacità di attivazione sul resto dell’economia.

Per ogni euro prodotto direttamente se ne generano infatti 1,80 in forma indiretta sul resto dell’economia, arrivando a un valore aggiunto prodotto dalla filiera “blu” complessivamente considerata (produzione diretta e indiretta) di oltre 100 miliardi di euro: quasi il 10% del totale dell’economia italiana.

 

 

 

 

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