«I consorzi tra le compagnie di navigazione? Siamo contrari all’ipotesi di una proroga incondizionata delle attuali deroghe alla normativa antitrust». A parlare in maniera chiara è il presidente di Fedespedi Roberto Alberti. Per l’organizzazione imprenditoriale che dal 1946 rappresenta gli interessi della quasi totalità delle imprese di spedizioni internazionali il prolungamento del Consortia Block Exemption Regulation non s’ha quindi da fare.
Il sistema attuale, che andrà a scadenza il 25 aprile 2020, prevede che i liner con quote di mercato inferiori al 30% possano allearsi per offrire servizi di trasporto in modo coordinato, ovvero formando consorzi. Questi agreement sono accettati in deroga a quanto previsto in materia di antitrust e di tutela della concorrenza dei mercati, così come previsto dall’articolo 81 del Trattato costitutivo della Comunità Europea e dall’articolo 101 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea.
A poco meno di un mese dalla chiusura delle consultazioni della Commissione UE sul rinnovo di questo schema normativo (Bruxelles aveva indetto una consultazione pubblica, chiusasi lo scorso 20 dicembre, per capire se avesse senso prolungare l’esenzione fino al 2025), Alberti precisa che quella di Fedespedi «non è una reazione estemporanea ma al contrario la risposta razionale a una serie di dinamiche che negli ultimi vent’anni si sono affermate anche per effetto del Regolamento di esenzione per categoria sugli accordi commerciali tra le compagnie di navigazione».
Il processo di concentrazione delle compagnie di navigazione non si è ancora concluso ma «sono già evidenti alcune conseguenze negative (o mancati benefici) sugli operatori della logistica in termini di marginalità, pluralità di offerta e servizi, occupazione». La concentrazione in poche mani dei traffici ha raggiunto livelli allarmanti «al punto da eliminare qualsiasi possibilità di contrattazione, non solo sui noli ma su qualsiasi altra condizione di lavoro. Una volta conclusosi questo processo spedizionieri, caricatori e operatori marittimi non potranno far altro che acconsentire a quanto predisposto dagli armatori».
Non è tutto. «Questo processo di concentrazione ha iniziato a spostarsi anche a terra, dove i gruppi armatoriali si stanno espandendo con l’acquisizione di terminal portuali, società di trasporto e logistica». Si tratta beninteso di un fenomeno legittimo («Le società operano nei mercati secondo le regole vigenti e giustamente perseguono il proprio interesse») ma che prospera grazie all’inerzia della politica, «che tra i suoi compiti ha invece quello di osservare i cambiamenti socio-economici e intervenire per adattare le regole ai nuovi scenari».
Per Alberti le istituzioni europee dovrebbero chiedersi insomma se in un sistema economico globale (trasformatosi radicalmente in pochi anni e nel quale il valore di una società può raggiungere il PIL di una nazione) abbiano ancora un senso le regole vigenti, comprese le esenzioni “senza condizioni” come appunto il Consortia Block Exemption Regulation. Domanda retorica, dal momento che a giudizio di Fedespedi la Commissione europea deve definire al più presto linee guida chiare e trasparenti e sistemi di monitoraggio e controllo effettivo per il settore. «Vanno scoraggiati i comportamenti potenzialmente collusivi e oligopolistici a discapito dell’efficienza delle supply chain, garantendo una reale concorrenza nel settore dello shipping».
Da qui un richiamo esplicito di Alberti alle responsabilità del governo e dell’intera classe politica, chiamati a monitorare con attenzione l’evoluzione del settore: «Investimenti in infrastrutture portuali e non, tariffe, occupazione, remunerazione dei servizi, forme di compensazione per i territori interessati dai traffici, eventuali azioni strategiche a favore della nostra manifattura e industria rischiano di essere piegati a logiche estranee agli interessi italiani ed europei. Se l’insieme delle infrastrutture e dei servizi logistici connessi sono giustamente considerati asset strategici, allora anche la loro proprietà e il loro utilizzo devono essere regolati in modo da servire effettivamente il Paese che li ospita».