Le nuove linee guida del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti sulle concessioni demaniali «sono qualcosa di cui non sentiva la necessità. Si rischia di appesantire notevolmente il procedimento già complesso relativo al rilascio delle concessioni nei porti, in assenza in alcun reale bisogno di ulteriori regole».
Sono queste le parole usate dal prof. Francesco Munari per descrivere il decreto interministeriale che a nemmeno quattro mesi dalla pubblicazione del nuovo Regolamento Concessioni (il n.202 del 2022) va ulteriormente a dettagliare alcuni passaggi della disciplina, stabilendo di fatto che sulla materia sia l’Autorità di Regolazione dei Trasporti ad avere l’ultima parola.
«Secondo quanto viene riportato da tutti i media, la ragione di queste linee guida proviene dalla Commissione europea che le ha volute tra le condizioni per il rilascio della terza tranche del PNRR» afferma l’avvocato marittimista. «Si tratta tuttavia di una condizionalità impropria. Voglio ricordare che il nostro Paese aveva già provveduto ad adempiere all’impegno assunto con l’Unione europea in sede di richiesta dei fondi PNRR, dapprima modificando sensibilmente l’art. 18 della legge 84/94 e quindi adottando il regolamento n.202. Inoltre, non mi consta che nei rapporti con gli altri Stati membri si sia giunti a un simile livello di dettaglio sulla materia, che è disciplinata già da un regolamento UE nel quale anzi agli Stati è lasciato un ampio margine di discrezionalità sul governo dei propri porti».
Secondo Munari la natura e funzioni delle AdSP sono tuttora mal compresi dalla Commissione europea: «La richiesta di inserire un soggetto “indipendente” tra gli aspiranti concessionari e le AdSP tradisce l’idea che in Italia manchi un tale soggetto, quando la legge ha individuato al riguardo le nostre Port Authority. Peraltro, neppure consta che vi sia stata un’analisi preliminare sull’effettiva presunta carenza di trasparenza o pubblicità nel rilascio delle concessioni e nelle condizioni ad esse relative. Personalmente, non mi pare che nei porti italiani vi sia poca concorrenza tra i concessionari o non sussistano condizioni di accesso alle infrastrutture portuali eque e non discriminatorie».
Oltre a rappresentare comunque il dubbio che un decreto – e cioè una fonte di rango secondario – possa modificare una materia disciplinata da una legge ordinaria, Munari paventa che il Decreto possa complicare ulteriormente la vita ai nostri porti, rischiando di fatto di allontanare investimenti in un settore cruciale per l’Italia.
«Per rilasciare una concessione di una qualche importanza, il rispetto delle linee guida determinerà la necessità di seguire un procedimento più aggravato rispetto al passato, che coinvolge anche soggetti diversi, tra loro non necessariamente coordinati».
Insomma, «se è certamente apprezzabile l’idea di omogeneizzare le procedure e i criteri per il rilascio delle concessioni nei porti, l’estremo dettaglio con cui si è inteso intervenire va in direzione non coerente con la necessità di valorizzare al massimo l’attività amministrativa basata sul risultato, e quindi sulla discrezionalità degli enti».
Munari ne è convinto: «Sommando il decreto 202 con le attuali linee guida abbiamo circa quaranta pagine di norme adottate in pochi mesi, che si aggiungono a una disciplina di legge già dettagliata, contenuta nell’art. 18 della l. n. 84/94. Se l’auspicio, che credo tutti sottoscrivano convintamente, è quello di un’Italia – e non solo quella dei porti – che si muova in modo agile e veloce in un contesto europeo e non solo, forse una riflessione più approfondita e generale sulla materia diventa a questo punto davvero opportuna».