Dalle recenti interlocuzioni tra il Governo e la Commissione europea (DGCOMP) pare emergano alcune richieste che meritano una chiarificazione in merito all’attività di rilascio delle concessioni.
Parrebbe arrivare un’indicazione relativamente alla necessità di prevedere che l’aggiudicazione delle concessioni sia eseguita da un soggetto terzo rispetto all’Autorità di sistema portuale in ragione della natura d’impresa di quest’ultima.
Occorre innanzitutto sgombrare il campo dagli equivoci: il rilascio delle concessioni non è un’attività che può essere di competenza di un’autorità di regolazione.
Ed è proprio il diritto dell’Unione europea che lo prevede.
In particolare, il principio di separazione, cogente nell’ordinamento interno in ragione del combinato disposto tra art. 56, 102 e 107 del TFUE (ed anche 106 TFUE per i servizi di interesse generale), prevede che le funzioni di amministrazione siano esercitate da un soggetto diverso da quello che esercita funzioni di regolazione.
Infatti, se l’attività di aggiudicazione delle concessioni è tipica del potere esecutivo, ossia riservata all’amministrazione (a prescindere dal fatto che abbia o meno natura d’impresa), l’attività di regolazione interviene esclusivamente per verificare l’equilibrio economico tra tale attività pubblicistica e il libero mercato (che partecipa alle procedure bandite dall’amminsitrazione).
È, pertanto, semplicemente sbagliato pensare che l’attività tipica e maggiormente rilevante di un’Autorità di sistema portuale, il rilascio di concessioni, sia esercitata da un soggetto terzo e indipendente.
Semmai, il diritto europeo potrebbe astrattamente ammettere che sul rilascio delle concessioni di rilevanza economico-finanziaria europea può essere (si può opinare sul fatto che “debba essere”) esercitata da un Autorità indipendente attraverso la prestazione di un parere.
E questo avviene, ad esempio, per altre concessioni: i parametri economico- finanziari (principalmente i criteri di calcolo del TIR e del WACC) che consentono di garantire la neutralità dell’infrastruttura possono essere verificati da un soggetto terzo affinché non vi siano rischi di discriminazione nell’accesso né l’imposizione di oneri tali da restringere l’accesso al mercato (anche oltre i casi discriminatori in senso stretto).
E così, può anche essere compresa l’ipotesi di un parere di un soggetto indipendente e di natura tecnico ma tale fattispecie non può certo sfociare in un parere vincolante per una ragione molto semplice: la regolazione incontra sempre due limiti:
a) il potere esecutivo (cioè la pubblica amministrazione) rimane sempre titolare dell’esercizio della competenza (che sarebbe svuotata se il parere fosse vincolante);
b) il limite del potere democratico tutelato dall’art. 3 del TUE (e anche dalla Costituzione);
In altre parole, lo Stato è sempre libero di determinare la propria politica industriale (ad esempio stringendo una partnership strategica con un grande investitore) anche quando un parametro economico potrebbe indicare che l’allocazione non è efficiente purché motivi pubblicamente e in modo trasparente la scelta. La Corte di giustizia consente di “discostarsi” dalla regolazione efficiente qualora lo Stato dimostri una “valid business reason”.
Non sorprende, comunque, che la Commissione possa tentare forzature chiedendo pareri vincolanti di una o più autorità indipendenti per le concessioni molto lunghe ma occorre ricordarsi che la DGCOMP, e soprattutto il team dedicato al PNRR, non è l’Unione europea.
Infatti, non è infrequente che alcune richieste irragionevoli e giuridicamente discutibili della Commissione siano poi annullate dalla Corte di giustizia.
Proprio per questa ragione occorre che il Governo si rapporti con il massimo della competenza tecnica e professionalità possibile con la Commissione tenendo conto della relativa architettura istituzionale.