Qualcosa si è inceppato negli ingranaggi delle catene logistiche globali. Il mancato o scarso monitoraggio dell’andamento del trasporto marittimo di container ha esposto la comunità portuale ad un aumento spropositato dei costi e ad un peggioramento della qualità del servizio, fenomeni cui hanno in parte contribuito gli accordi istituzionali per la concorrenza nel settore, tra i quali la cosiddetta Consortia Block Exemption Regulation, che ad Aprile del 2020 la Commissione Europea ha deciso di rinnovare per ulteriori quattro anni.
Va all’attacco l’International Transport Forum. In un report pubblicato pochi giorni fa, il think tank dell’OCSE ha messo al centro dei riflettori il comportamento assunto in questi anni dai big carrier e l’inadeguatezza delle autorità antitrust nel saper monitorare le situazioni di abuso dominante e le pratiche anti-concorrenziali.
«Il prezzo del trasporto di container è aumentato notevolmente dall’inizio del 2020» si legge nel documento. «In due anni, sono praticamente sestuplicate le tariffe sul mercato spot, mentre quelle dei contratti a lungo termine sono triplicate».
Sono numeri drammatici che secondo l’ITF non danno completamente l’idea dei costi reali connessi al trasporto di container che i caricatori hanno dovuto sostenere in questo lasso di tempo. Il riferimento è agli extra costi applicati dai big carrier per la sosta dei contenitori nei terminal portuali e al di fuori di essi oltre il periodo di franchigia. Le tariffe di detentions&demurrage, come sottolineato da X Change, sono mediamente aumentate del 38% dal 2020 al 2021, salvo poi scendere nel 2022.
Nello stesso periodo, l’affidabilità degli orari delle linee di container globali è scesa dal 65 al 34%. «Il che significa che due navi su tre arrivano in porto con almeno un giorno di ritardo” scrive l’ITF. Inoltre sono aumentati anche i cosiddetti blank sailing. Per compensare la contrazione della domanda di beni e servizi durante il periodo pandemico, i liner hanno fatto sempre più spesso ricorso alla cancellazione delle partenze nell’ambito dei servizi di linea programmati, saltando a piè pari alcuni porti o riducendo il numero delle toccate, esercitando con ciò nuova pressione sulle supply chain globali.
L’ITF precisa come i tempi di permanenza di una nave in banchina nei porti della Repubblica Popolare Cinese e degli Stati Uniti siano praticamente raddoppiati dall’inizio del 2020, mentre in Europa sono aumentati di poco meno del 15%.
Unitamente alla carenza di manodopera legata al Covid19, questi eventi hanno minato i modelli commerciali e logistici del just-in-time, creando forti interruzioni alle catene di approvigionamento.
«Gli spedizionieri e i caricatori in Europa – scrivono gli esperti dell’ITF – devono affrontare gli aumenti esponenziali delle tariffe del trasporto marittimo da e verso l’Europa e le crescenti difficoltà nella prenotazione degli slot a bordo nave».
I liner hanno poi usato pratiche commerciali non sempre corrette per trasferire la capacità di stiva sulle rotte più remunerative, come quella transpacifica, al fine di soddisfare la crescente domanda di beni di consumo negli USA, lasciando così sguarnite altre rotte e mettendo ulteriormente in difficoltà gli shipper.
Secondo l’ITF, le politiche pubbliche hanno facilitato questa situazione di insofferenza. «Le Autorità di regolamentazione hanno consentito ai vettori di usare gli accordi di cooperazione per gestire congiuntamente la capacità della flotta e orientare i mercati» spiega il think thank dell’OCSE, sottolineando come «i tassi alle stelle hanno portato le compagnie di navigazione a maturare profitti operativi stellari, che nel 2021 hanno raggiunto l’astronomica cifra di 160 miliardi di dollari».
L’extra tesoretto è stato usato dalle compagnie per integrare verticalmente la catena logistica e mettere in difficoltà gli spedizionieri. Una pratica, quella dell’integrazione verticale, che l’ITF considera discriminatoria, perché perpetrata da soggetti che a differenza di altri operatori logistici beneficiano di una esenzione dalle normali regole di concorrenza e che utilizzano i profitti per competere in altri settori che non hanno tale immunità.
La situazione sta insomma diventando insostenibile. Per questo, l’ITF chiede ai Governi di rafforzare i controlli per valutare il reale grado di concorrenza nel trasporto di container. «Le autorità garanti della concorrenza dovrebbero rafforzare il livello cooperazione transforntaliera, perché le loro azioni sono interdipendenti» afferma.
Sul banco degli imputati ci sono i consorzi, ovvero le alleanze occasionali stipulate da due o più big carrier anche operanti al di fuori di una stessa alleanza, attraverso le quali, diventa possibile posizionare le navi lungo differenti rotte e controllare quindi la capacità offerta.
Secondo l’ITF, l’indicatore Herfindahl–Hirschman (HHI), attraverso il quale sino ad oggi hanno le varie Authority vigilanti hanno valutato il grado di concentrazione, non prende in considerazione l’intero spettro delle iniziative di cooperazione poste in essere tra le compagnie marittime e ammesse in base all’esenzione per categoria e ad altre disposizione in materia di immunità antitrust.
Se tali accordi consortili (consortia inter-Alliance) venissero inclusi nel sistema di misurazione, il grado di concentrazione registrato ad esempio sulla rotta transatlantica non sarebbe ad esempio soltanto moderato ma molto alto (higly concentrated).
L’ITF raccomanda poi di mettere in atto una serie di misure per rendere più trasparenti le tariffe di d&d, imponendo ai vettori l’onere di giustificarli.
«Le spese di detentions and demurrage applicate ai caricatori per regolare i flussi di trasporto nei porti dovrebbero essere rese più efficaci assicurando che siano correlate ai costi sostenuti», fa osservare l’International Transport Forum, aggiungendo che tali costi «dovrebbero essere addebitati solo se i caricatori e gli spedizionieri sono direttamente responsabili della mancata o ritardata riconsegna del container».
Quanto alla logistica verticale, l’ITF chiede ai regolatori di garantire una concorrenza trasparente e fairy nei mercati portuali e logistica in cui oggi i vettori del trasporto containerizzato hanno acquisito una posizione dominante.
Infine, l’International Transport Forum sottolionea come la copertura dei costi per l’utilizzo delle infrastrutture portuali pubbliche sia attualmente bassa. I vettori contribuiscono soltanto per il 4% del costo del finanziamento e della manutenzione delle facility nei porti: «In genere, i vettori pagano solo una frazione di questi costi e meno che in tutte le altre modalità di trasporto – si legge nel report – per questo motivo, i Governi dovrebbero recuperare (dai carrier) una quota maggiore dei costi infrastrutturali tramite canoni od oneri aggiuntivi».