Contratti di lungo termine mai così bassi. Dopo mesi segnati da costanti incrementi, il tempo per il mercato del trasporto dei container volge al brutto. A sostenerlo è la società norvegese Xeneta, specializzata in servizi di marketing intelligence e benchmarking.
Mettendo a confronto i dati offerti da diversi operatori relativamente alle tratte che collegano i porti lungo le principali rotte di traffico (160 mila abbinamenti per oltre 110 milioni di data point), la società ha riscontrato un crollo importante nelle rate di nolo dei container, con un calo generalizzato del 4,2% tra i contratti di durata uguale o superiore agli 80 giorni.
Per la consultancy firm si tratterebbe di un vero e proprio rovescio di fortuna dopo i segnali di crescita riscontrati a febbraio e marzo, con i long-terms contracts stipulati a prezzi superiori rispettivamente del 2,5 e dello 0,5%.
I cali sono presenti lungo tutte le principali rotte di traffico: secondo il XSI Public Index stilato da Xeneta le importazioni europee sono calate ad aprile del 4,8% rispetto al mese precedente (-2,3% rispetto alle fine del 2018) mentre le esportazioni sono diminuite dell’1,9% (-2,4% rispetto all’anno scorso).
E non si intravedono schiarite nemmeno lungo i traffici con il Far East: l’import benchmark è diminuito del 2,1% mentre l’export è crollato del 3,6% (-4,5% rispetto all’inizio dell’anno e -9,7% da luglio 2018).
L’US Trade ha subito lo stesso destino, con l’import ad aprile in picchiata del 3,4% sul mese precedente (-3,2% sul 2018) e l’export in calo del 2% (anche se in aumento del 6,4% rispetto alla fine del 2018).
Per la società norvegese le ragioni del declino sono sotto gli occhi di tutti: sul banco degli imputati c’è soprattutto l’overcapacity, esacerbata tra gli altri dall’attivismo di Cosco, che tra aprile e giugno ha ordinato sei nuove navi da usare per le rotazioni della Ocean Alliance, il consorzio armatoriale di linea costituito oltre che dalla compagnia di Stato cinese, da CMA CGM, Evergreen Line e Orient Overseas Container Line (OOLC).
«La sovraccapacità resta il problema principale che i carrier si sono creati» afferma il manager di Evergreen presso Italia Marittima, Diego Moscati, che aggiunge: «Nonostante ci siano sulla stampa notizie discordanti riguardo i noli da Maggio in poi, la cosa certa è che l’industria tutta continua a restare sotto pressione e anche chi riesce portare a casa risultati positivi, lo fa con cifre davvero risicate e depresse».
Non è un caso se nel 2018 i margini di guadagno operativo registrati dalle principali compagnie sono stati risicati: prendendo a riferimento i dieci maggiori carrier al mondo, in tre hanno riportato risultati finanziari negativi, mentre gli altri sette hanno avuto risultati variabili tra il +0.1% e + 3.7%.
Il quadro geopolitico non offre poi alcun approdo sicuro per il futuro: le incertezze legate alla trade war tra gli Stati Uniti e la Cina continuano a condizionare le dinamiche di mercato, mentre le nuove prescrizioni ambientali conseguenti alla prossima introduzione del sulphur cap (da gennaio 2020) rappresentano uno scoglio contro cui molti big operator rischiano ad oggi di andare a sbattere a causa dei numerosi investimenti che dovranno sostenere per rispettare il limite dello 0,5% (rispetto all’attuale 3,5%) al contenuto di zolfo nelle emissioni delle navi.
La situazione, insomma, rimane estremamente volatile, anche se i grandi gruppi armatoriali sperano comunque in una ripresa nel 2019.
É la società di consulenza Alphaliner a riportare come gli armatori si aspettino sui contratti stipulati da maggio in poi una crescita di circa il 30% dei noli sulla rotta transpacifica: lungo il trade tra l’Asia e la US West Coast i livelli applicati di rata che verranno applicati a partire dal prossimo mese vengono indicati tra i 1300 e 1500 dollari a FEU (Forty Equivalent Unit). Nel 2018 i noli di contratto lungo la stessa tratta viaggiavano sui 1000/1200 dollari per ogni container da 40 piedi caricato.
I risultati operativi di molti carrier potrebbero migliorare anche grazie all’introduzione dei vari Bunker Adjustment Factors (BAF) applicati da molti liner su diversi trade per far fronte all’aumento del prezzo del petrolio o per sostenere i maggiori costi derivanti dal nuovo sulphur cap stabilito dall’IMO (i sulphur surchages).
«Il delivery di VLCS prosegue e le neo panamax sono impiegate su larga scala – è l’analisi che la presidente di Spedimar, Gloria Dari, offre al cronista – gli armatori hanno consolidato politiche di economia di scala e promosso piani di investimento nei terminal e in tutti i vari segmenti della logistica e della intermodalità. Considerando anche gli investimenti fatti e quelli in pectore, sia in termini di flotta e di equipment che in termini di strutture, terminal e logistica (intermodale), le dinamiche del mercato non lasciano pensare a scenari con “rovesci di fortuna”, ma forse ad altri consolidamenti di servizi».