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Nuovo affondo dell'ILA contro le compagnie di navigazione

“Corporazioni straniere avide e bastarde”

di Redazione

E alla fine tanto tuonò che cominciò a piovere. Dopo averlo minacciato per settimane, l’International Longshoremen’s Association ha dato il via alle danze. Da ieri mattina i lavoratori dei porti della East Coast Statunitense sono ufficialmente in sciopero.

Braccia incrociate, dunque, in aperta protesta contro i datori di lavoro e le compagnie di navigazione, entrambe rappresentate dall’United States Maritime Alliance (USMX).

Al centro della discordia, il mancato rinnovo del contratto collettivo nazionale.

Le posizioni tra le parti rimangono distanti. Considerata irricevibile da parte dell’ILA anche l’ultima offerta fatta ieri dalla USMX, consistente in un aumento del salario di quasi il 50% (Il sindacato aveva chiesto un aumento complessivo del 77%), nella triplicazione dei contributi pensionistici e nel rafforzamento delle opzioni di assistenza sanitaria. Compreso nel pacchetto offerto dall’associazione datoriale anche l’impegno a continuare la discussione sul tema dell’automazione, considerata dall’ILA il male dei mali.

Nulla da fare.

“È vergognoso che la maggior parte delle compagnie di navigazione voglia realizzare profitti miliardari sulle spalle dei lavoratori portuali americani” ha affermato due giorni fa il presidente dell’ILA, Harold Dagget.

Il sindacato prende a riferimento Maersk, che nell’anno fiscale del 2022 (terminato il 30 settembre) ha guadagnato 82 miliardi di dollari, il 50% in più rispetto ai profitti realizzati l’anno precedente. Nello stesso anno, la società terminalistica di Maersk, APM Terminals, ha visto aumentare i propri profitti del 4% su base annuale, a 4,4 miliardi di dollari. Nello stesso periodo altre compagnie di navigazione hanno totalizzato profitti miliardari, come MSC (28 miliardi di dollari), COSCO (63 miliardi), Hapag Lloyd (36 miliardi), mentre la società terminalistica TIL (di proprietà di MSC), che ha peraltro quote di partecipazione nei porti di Newark, Baltimora, Los Angeles e Long Beach, ha guadagnato 1,3 miliardi di dollari.

L’accusa mossa ai vettori è pesante: “Vogliono arricchirsi ai danni degli Stati Uniti” ha dichiarato Harold Dagget, sottolineando in un post pubblicato il 30 settembre scorso che le compagnie di navigazione sono “corporazioni avide e bastarde” (greedy bastard corporations overseas). “Tutto ciò che vogliono è solo denaro, denaro, e ancora denaro. Non gliene importa niente di noi (ma la traduzione in italiano non rende giustizia alle parole usate esattamente da Dagget: “they don’t give a shit about us that’s the truth!”)”.

Nello stesso post, il n.1 del sindacato dei lavoratori della costa orientale statunitense ha precisato che i liner “stanno ora addebitando ai propri clienti 30.000 dollari per un container pieno, un aumento enorme rispetto ai 6.000 dollari di poche settimane fa. E a volte, riempiendo lo stesso container con la merce di due caricatori riescono addirittura a raddoppiare questa cifra, arrivando a 60.000 dollari a FEU”-

Quantunque le tariffe oggi non si avvicinino minimamente ai 30.000 dollari a FEU di media, trovandosi anzi – dati Drewry alla mano – leggermente al di sopra dei 6.000 dollari sulla Shanghai – New York, i contenuti chiaramente distorti forniti dall’ILA servono ad alimentare la vulgata di un nemico comune da combattere. Un leit-motiv che ritorna spesso nel linguaggio populista, aggressivo e scorretto, usato da Dagget.

“Non sappiamo ancora quali saranno esattamente le ricadute dello sciopero” afferma il ceo di Vespucci Maritime, Lars Jensen. “Secondo la maggior parte delle previsioni oggi in circolazione, le proteste costeranno all’economia americana dagli 1,5 ai 5 miliardi di dollari al giorno” aggiunge, facendo notare che nella stessa giornata di ieri anche i lavoratori portuali di Montreal hanno iniziato uno sciopero di 3 giorni.

Un rapido sguardo a Vesselfinder mostra che diverse portacontainer sono ferme in rada davanti ai porti della East Coast ma non ci sono, almeno per il momento, segnali che lascino pensare ad un “imbottigliamento” del traffico.