La vicenda della inconferibilità dell’incarico di Zeno D’Agostino a presidente dell’AdSP del Mar Adriatico Orientale, disposta dall’Anac, non cessa di sollevare clamore e indignazione tra gli esperti del settore ma anche tra i non addetti ai lavori.
Soltanto ieri l’editorialista Davide Giacalone ne parlava come di uno sfregio al buon senso. Oggi tocca al n.1 di Assoporti, Daniele Rossi, esprimere forti riserve sia sulle disposizioni normative di incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni (art.4 dlgs 8 aprile 2013, n. 39) che su quelle che regolano il divieto di pantouflage (art.53 del d.lgs. 165/2001).
Dopo aver ribadito la massima solidarietà a D’Agostino «e a tutti i colleghi che, pur avendo sempre operato nell’esclusivo interesse dei porti e della Pubblica Amministrazione, si trovano nella stessa situazione di difficoltà per vicende giudiziarie che nulla hanno a che fare con ipotesi di malversazioni», Rossi manifesta il proprio disappunto per una situazione che – dice – sta diventando insostenibile.
Ammesso e concesso che nel 2016 D’Agostino non potesse essere assegnato alla presidenza dell’AdSP triestina (perché all’epoca era già presidente di TTP, Trieste Terminal Passeggeri), «trovo inaccettabile che una verifica di questo tipo venga fatta dopo quattro anni di mandato. Un pubblico amministratore che abbia operato per così tanto tempo nel proprio incarico non dovrebbe essere più sindacato. Questa è una anomalia che va corretta».
Chiaramente, la vicenda di D’Agostino è legata a doppio filo a quella di Luigi Merlo e alla “presunta” violazione della normativa che sancisce il divieto triennale, per un dipendente pubblico, a decorrere dalla cessazione del rapporto con l’amministrazione pubblica, di svolgere attività lavorativa per soggetti verso i quali abbia esercitato poteri autoritativi o negoziali.
«Non è più possibile che chi ricopra un incarico nella Pubblica Amministrazione non abbia la libertà di trovarsi un impiego nei tre anni successivi», afferma Rossi, che cita come esempio concreto quello dell’ex presidente dell’Autorità Portuale di Marsiglia, il quale – il giorno dopo la cessazione dell’incarico – ha trovato lavoro presso uno dei più importanti operatori logistici del mondo: «Se questo è ammesso in altri Paesi a noi vicini, mi chiedo perché in Italia dobbiamo complicarci la vita in questo modo».
La verità è che simili norme «compromettono il futuro professionale di chi ha meritoriamente deciso di mettere a disposizione della PA le proprie capacità e la propria dedizione. In questo modo rischiamo di allontanare dal Pubblico le migliori professionalità del nostro Paese, lanciando anche un messaggio sbagliato ai giovani».
Per Rossi è arrivato il momento di fare un tagliando all’impianto normativo. «Il Governo sta lavorando alla predisposizione del Decreto Semplificazioni: potrebbe essere questa l’occasione per rivedere completamente la materia in tema di incompatibilità e inconferibilità».
Due sono gli aspetti sui cui intervenire: imporre innanzitutto che gli accertamenti Anac sulla inconferibilità siano preventivi all’assegnazione di un incarico («non possono essere fatti ex post, inoltre la sanzione di decadenza è eccessiva»).
In secondo luogo, va ridotto il tempo del divieto di pantouflage dai tre anni previsti oggi a sei mesi: «La considero una ipotesi minima. Credo, in realtà, che non debba essere imposto alcun vincolo: quando hai finito di lavorare per un Ente pubblico, dovresti avere la libertà professionale di cogliere ogni opportunità lavorativa. Dovrebbe essere poi la magistratura a verificare se durante il periodo dell’incarico al vertice di una pubblica amministrazione siano stati commessi eventuali illeciti comportamentali».
Il presidente di Assoporti le considera proposte dettate dal buon senso: «I presidenti delle Autorità Portuali che oggi svolgono con impegno, dedizione ed efficacia, il proprio ruolo non possono incorrere costantemente nel rischio di incappare in un qualche tipo di incidente legale. Dietro a ogni firma si nasconde il pericolo di un abuso di ufficio e di una qualche responsabilità innanzi alla Corte dei Conti».
Quella di Rossi è una riflessione che pur prendendo le mosse dal caso D’Agostino, intende traguardare orizzonti più ampi. «Massimo Provinciali ha ragione quando afferma che la buona burocrazia è oggi schiava e vittima di regole e cavilli», dice, citando l’intervento del segretario generale dell’AdSP di Livorno pubblicato su Port News.
«Abbiamo bisogno di norme più semplici e chiare. Dobbiamo tornare ad avere fiducia nei pubblici amministratori e non considerarli tutti dei potenziali malfattori. La stragrande maggioranza sono persone perbene e professionisti eccellenti che dedicano la loro vita al servizio del paese».