L’attuale inagibilità di Suez sta impattando pesantemente sui paesi del Mediterraneo Orientale, avvantaggiando invece quelli del Mediterraneo Occidentale, più vicini a Gibilterra.
Il dato emerge in modo netto dall’ultimo report presentato da MDS Transmodal, nel quale si evidenzia come la circumnavigazione dell’Africa dal Capo di Buona Speranza stia ridisegnando nuove direttrici di traffico ancora più lontane da quei Paesi la cui posizione di vantaggio competitivo era favorita dalla vicinanza al canale di Suez.
“La nuova situazione sta chiaramente avvantaggiando i porti del Nord Europa, che sono più vicini allo Stretto di Gibilterra e che sono serviti direttamente dalle shipping company impegnate nei servizi di collegamento con il Far East” spiega a Port News l’analista di MDS Transmodal, Antonella Teodoro.
Discorso diverso per i Paesi del Mediterraneo Orientale, “che sono stati impattati più di altri dalla crisi del Mar Rosso e che spesso non hanno connessioni dirette con l’Asia, essendo serviti attraverso le unità feeder”.
Paesi come la Spagna e il Marocco hanno invece visto decisamente aumentare la propria connettività con il Far East: “Nel secondo trimestre del 2024 la capacità schedulata nei servizi tra la Cina e i porti spagnoli è aumentata del 9% rispetto allo stesso periodo del 2023, passando da 2,66 a 2,9 milioni di TEU. La scheduled capacity è invece aumentata del 15% nei servizi tra i porti cinesi e quelli del Marocco, passando da quasi 1,7 a 1,95 milioni di TEU”.
Nonostante l’Italia viaggi oggi a due velocità (in sofferenza i porti dell’Adriatico, in salute quelli del Mar Tirreno), la capacità schedulata nei trade tra il Bel Paese e la Cina è aumentata nel periodo di riferimento del 13%, passando dagli 1,5 milioni di TEU del secondo trimestre del 2023 ai quasi 1,7 milioni di TEU del secondo trimestre del 2024.
Risulta invece peggiorata la connettività tra la Cina e pasi come la Grecia e Israele. In questi due casi, la capacità schedulata nei vari servizi di collegamento è calata nel periodo di riferimento di rispettivamente il 59 e 82%.
Altro elemento di nota è quello rappresentato dallo stato di grazia nel quale si trovano oggi i porti britannici. “Dallo studio prodotto emerge come la Gran Bretagna abbia fatto registrare un incremento di oltre il 5o% nella capacità schedulata nei servizi diretti con il Far East” sottolinea ancora Antonella Teodoro.
Secondo l’analista, il merito di questo aumento è da attribuirsi soprattutto all’entrata in vigore del sistema europeo di tassazione del carbonio (ETS).
Come noto, una nave che naviga tra due porti dell’UE deve pagare la carbon tax per l’intera durata del viaggio, mentre una nave che naviga tra un porto extra-UE e un porto dell’UE deve pagare la carbon tax per il 50% del viaggio.
“Per una nave diretta dalla Cina e diretta in Europa il vettore dovrà pagare il 50% delle emissioni prodotte, perché passa da un porto extra UE ad un porto comunitario” premette la Teodoro. “Tuttavia, se quel vettore decidesse di fare scalo ad esempio nel porto di Felixstowe prima di approdare in Europa, non pagherebbe alcuna tassa nel tragitto intercontinentale tra la Cina e lo scalo portuale britannico, perché entrambi sono extra UE. Ne deriva un vantaggio competitivo che gli UK stanno sfruttando”.